Dopo quasi quattro anni d’inchiesta, si aprirà questa mattina davanti al gup del Tribunale di Taranto Vilma Gilli l’udienza preliminare del processo che racchiude cinque filoni d’indagine, per l’inquinamento provocato dallo stabilimento siderurgico Ilva. A rischiare il rinvio a giudizio chiesto dalla Procura il 6 marzo scorso dinanzi alla Corte di Assise, 49 persone fisiche e tre società (Ilva Spa, Riva Fire e Riva Forni elettrici): la camera di consiglio si svolgerà a porte chiuse. Vista l’eco e l’importanza storica del processo, il presidente del Tribunale Antonio Morelli ha disposto che l’udienza si svolga nella palestra della caserma dei Vigili del fuoco, perché il tribunale di Taranto non possiede strutture idonee per ospitare un maxi processo.
Il procedimento però, quasi certamente si fermerà già quest’oggi, perché sul gup pende un’istanza di rimessione del processo depositata nelle scorse settimane dai legali delle società Riva Fire, holding che ancora oggi detiene la maggioranza delle azioni dell’Ilva Spa, e Riva Forni Elettrici e di alcuni imputati, basata sull’ipotesi che il clima instauratosi a Taranto non consentirebbe una serenità di giudizio se il processo si svolgesse nel capoluogo ionico. Il gup ha davanti a sé tre possibilità: sospendere subito l’udienza inviando gli atti alla Cassazione perché decida sull’istanza di rimessione del processo (qualora accolta, verrebbe trasferito a Potenza); far costituire le parti (in questo caso occorrerebbe più di una udienza) per poi trasmettere gli atti a Roma; oppure andare avanti e adottare tutte le decisioni fermandosi però ad un passo dal pronunciamento della sentenza, dovendo comunque trasmettere gli atti alla Suprema Corte.
All’appello, rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio, mancherà l’ex patron dell’Ilva, Emilio Riva, deceduto lo scorso 29 aprile. Imputati i figli Nicola (in passato presidente del Cda dell’Ilva) e Fabio (da novembre 2012 rifugiato a Londra, attualmente in libertà vigilata e in attesa di estradizione), e l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, oltre che diversi responsabili e capi area dello stabilimento. Pesantissime le accuse: disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico.
Tra gli imputati figurano anche numerosi politici, come il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno (abuso d’ufficio), l’ex presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido (concussione), il direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato, l’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro, il deputato Nicola Fratoianni, l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva, l’ex responsabile delle pubbliche relazioni Ilva Girolamo Archinà, l’ex presidente Ilva Bruno Ferrante ed un professore universitario, ex perito della Procura Lorenzo Liberti.
La prima vera svolta dell’inchiesta arrivò il 26 luglio 2012 quando scattarono 8 arresti domiciliari e il sequestro preventivo dell’area a caldo senza la facoltà d’uso degli impianti, anche se la produzione non si è mai fermata. A fine novembre 2012 scattò la seconda tranche dell’indagine («Ambiente Svenduto») poi riunita al primo fascicolo, che denunciò i tentativi di pressione sulle istituzioni (e mass media locali), per ammorbidire i controlli sullo stabilimento e alleggerire le norme ambientali.