Hanno chiesto condanne pesantissime i pm del pool per i reati ambientali della procura di Taranto, al termine della requisitoria che ha dato il via alla fase finale del processo «Ambiente Svenduto», sul presunto disastro ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico Ilva, sotto la gestione del gruppo Riva. Il processo deriva dall’inchiesta che nel luglio del 2012 portò al sequestro degli impianti dell’area a caldo e ad una serie di arresti eccellenti. In oltre quattro anni di udienze, hanno sfilato di fronte alla Corte d’Assise di Taranto decine di imputati e centinaia di testimoni (in tutto 47 gli imputati tra persone fisiche e società), per quello che può essere considerato il più grande processo ambientale nella storia giudiziaria italiana.

I pm ieri hanno chiesto 28 anni di reclusione per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva, che insieme al padre Emilio (defunto nel 2014) hanno guidato il gruppo ex Ilva dal 1995 al 2013. Altri 28 anni sono stati chiesti per Luigi Capogrosso, ex direttore della fabbrica e per l’ex addetto alle relazioni esterne Girolamo Archinà, accusato di essere il grande deus ex machina dei rapporti tra azienda e politica.
Chiesti 20 anni per il dirigente Adolfo Buffo e per cinque imputati (Lafranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino e Enrico Bessone) definiti i ‘fiduciari‘, non alle dipendenze dirette dell’azienda che però in fabbrica costituivano un ‘governo-ombra‘ che prendeva ordini dalla famiglia Riva. Altri 17 anni per l’ex presidente di Ilva ed ex prefetto di Milano Bruno Ferrante e vari ex capi area dello stabilimento, e per l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti accusato di aver falsificato i dati sulle emissioni dello stabilimento.
Quanto alle tre società imputate, i pm hanno chiesto sanzione pecuniaria e interdizione di un anno per Ilva spa, commissariamento giudiziale di un anno per Riva FIRE ed interdizione dell’attività di un anno per Riva Forni Elettrici. Richiesta inoltre la confisca degli impianti dell’area a caldo che furono sottoposti a sequestro.

Ma l’inchiesta del gip Todisco toccò all’epoca anche i rapporti tra i Riva e la politica locale. Cinque anni di reclusione sono stati chiesti per l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo l’accusa, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di ARPA Puglia, Giorgio Assennato (per quest’ultimo e l’ex direttore scientifico Blonda chiesti 8 mesi), per ammorbidire la posizione dell’agenzia nei confronti dell’Ilva. Chiesti 8 mesi per Nicola Fratoianni, deputato, segretario di Sinistra italiana, ex assessore regionale pugliese. Nichi Vendola si è dichiarato sereno: «Ho sempre operato nel rispetto della legge. La giustizia non può essere nemica della verità». Sono invece quattro gli anni di reclusione chiesti per l’ex presidente della Provincia Gianni Florido, che risponde di una tentata concussione e di una concussione consumata, reati che avrebbe commesso in concorso con l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva (anche per lui chiesti 4 anni) e con l’ex pr dell’Ilva Archinà. Per l’accusa avrebbero indotto un’ex dirigente provinciale a sottoscrivere una determina di autorizzazione all’esercizio di una discarica per rifiuti speciali pur non ricorrendone le condizioni di legge. I pm hanno chiesto per 9 imputati il non doversi procedere per avvenuta prescrizione del reato, tra cui per l’ex sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, a cui era contestato l’abuso d’ufficio in quanto, secondo l’accusa, pur essendo a conoscenza delle criticità ambientali e sanitarie causate dall’Ilva, non avrebbe adottato provvedimenti per tutelare la popolazione.

Dopo la requisitoria dei pubblici ministeri, il calendario del processo andrà avanti con la requisitoria degli avvocati delle oltre 900 parti civili ed infine con le arringhe dei legali difensori degli imputati. La sentenza di primo grado è attesa prima dell’estate.