Chi ha dato l’ordine e perché? Il verdetto che dopo quindici anni arriva dal Tribunale Speciale per il Libano non è una risposta esauriente alla domanda di giustizia del popolo libanese. Ieri la sentenza che ha scagionato 3 dei 4 accusati -Hussein Oneissi, Assad Sabra, Hassan Habib Merhi- e incolpato il quarto -Salim Jamil Ayyash-, tutti membri di Hezbollah, di aver partecipato alla cospirazione e commesso l’atto terroristico, dell’omicidio intenzionale di Rafiq Hariri e di altri 21 e del tentato omicidio intenzionale dei 226 feriti il 14 febbraio 2005. La corte assolve la leadership di Hezbollah e il governo siriano da ogni accusa per mancanza di prove.

«Avevamo aspettative più alte, ma accettiamo la decisione. Vogliamo che giustizia sia fatta e i colpevoli puniti» dichiara a caldo Saad Hariri, ex-premier libanese e figlio di Rafiq. Per lui è una sentenza storica: per la prima volta in Libano è stato trovato un responsabile per uno dei tanti omicidi politici. Meno diplomatico il fratello Baha’ -sul quale ci sono rumori di un ritorno in Libano e un ingresso in politica- che punta il dito contro Hezballah.

Il Presidente Aoun ha ricordato «i continui appelli all’unità, alla solidarietà e gli sforzi tesi a proteggere il paese da ogni conflitto» di Hariri. Come lui, anche l’ex-premier Mikati e il premier ad interim Diab hanno accolto con favore la sentenza, mentre Wiam Wahhab, ministro dell’ambiente nel 2005, ha dichiarato che «questa sessione di una corte grande come una montagna ha partorito un topolino! Il Libano ha pagato miliardi di dollari per ascoltare un’analisi politica stupida».

I partigiani del Movimento Futuro, fondato da Rafiq Hariri, sollevano dubbi sul fatto che Ayyash abbia deciso da solo. È comunque un verdetto importante che sancisce la responsabilità se non legale, certamente politica e morale del Partito di Dio e della Siria, come pure svariati analisti sostengono.

I partigiani di Hezbollah parlano invece di vittoria. Per loro il partito non aveva nessun interesse a uccidere l’allora premier. Bisognerebbe piuttosto indagare sugli interessi di Israele, Arabia Saudita e Emirati. Lo scenario politico è però cambiato in Libano negli ultimi 15 anni. Lo stesso Saad Hariri, fino a gennaio in un governo di cui Hezbollah era parte, avrebbe potuto lanciare un affondo ieri, mentre ha tenuto i toni bassi e spostato l’attenzione sul presente: la sentenza deve essere «un precedente per ottenere verità e giustizia per le vittime e i feriti dell’esplosione del 4 agosto», tentando forse la carta dell’empatia.

Tutte in quest’ottica le dichiarazioni relativamente moderate di ieri. Sembra non avere più molta presa la logica dei due blocchi, 8 e 14 marzo, nati dopo all’attentato a Hariri e all’interno della Rivoluzione dei Cedri. Tutti i politici libanesi sono sulla graticola e l’esplosione del 4 agosto al porto ha rafforzato questo sentimento. kullun, ya’nee kullun -tutti vuol dire tutti-, via tutti è lo slogan che i manifestanti non hanno mai smesso di gridare.