Processo Eternit bis, la multinazionale elvetica alla sbarra: chiesti 23 anni per Schmidheiny
Bagnoli. L'imprenditore è accusato della morte di otto persone, sei operai. La Cgil Campania: «L’accusa ha sottolineano il disprezzo verso la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, una concezione predatoria piegata solo a logiche di profitto»
Bagnoli. L'imprenditore è accusato della morte di otto persone, sei operai. La Cgil Campania: «L’accusa ha sottolineano il disprezzo verso la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, una concezione predatoria piegata solo a logiche di profitto»
- La Corte di Assise di Napoli ha condannato l'imprenditore svizzero 74enne Stephan Ernest Schmidheiny a 3 anni e 6 mesi per l'omicidio colposo di Antonio Balestrieri, uno degli operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli deceduto a causa di prolungata esposizione all'amianto
- Per gli altri casi al centro del processo, i giudici hanno sancito l'avvenuta prescrizione. Veementi proteste dopo la sentenza dei familiari delle vittime.
- I sostituti procuratori di Napoli Anna Frasca e Giuliana Giuliano avevano chiesto per Schmidheiny una condanna a 23 anni e 11 mesi di reclusione.
Aggiornamento delle 18 del 6 aprile 2022
La Corte di Assise di Napoli (seconda sezione, presidente Concetta Cristiano) ha condannato l’imprenditore svizzero Stephan Ernest Schmidheiny a 3 anni e 6 mesi per l’omicidio colposo di Antonio Balestrieri, uno degli operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli deceduto a causa di prolungata esposizione all’amianto.
Per gli altri casi al centro del processo, i giudici hanno sancito l’avvenuta prescrizione.
Lo scorso 2 marzo i sostituti procuratori di Napoli Anna Frasca e Giuliana Giuliano avevano chiesto per il 74enne Schmidheiny una condanna a 23 anni e 11 mesi di reclusione.
“Vergogna, vergogna”: a gridarlo all’esterno dell’aula 116 del nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli sono stati alcuni parenti delle otto persone decedute, a causa – secondo la Procura di Napoli – dell’esposizione alle fibre di amianto nello stabilimento Eternit di Bagnoli. (s.d.q.)
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È attesa per oggi la sentenza del processo Eternit bis, relativa allo stabilimento di Bagnoli. Imputato Stephan Schmidheiny (proprietario del sito, fallito nel 1985), le pm Anna Frasca e Giuliana Giuliano hanno chiesto una condanna a 23 anni e 11 mesi. Secondo i testimoni, i lavoratori erano costretti a coprirsi la bocca con i fazzoletti perché non venivano fornite le mascherine, i sacchi venivano spostati e svuotati a mano anche dopo la ristrutturazione degli impianti. Eppure il fratello dell’imputato ha spiegato che a casa Schmidheiny si parlava anche a tavola della nocività dell’amianto.
L’ACCUSA lo ritiene responsabile della morte di 6 operai, della moglie di uno dei dipendenti (si sarebbe ammalata lavando la tuta del marito) e di un residente che abitava nei pressi della fabbrica. Cgil e Uil saranno in presidio al tribunale di Napoli: «L’accusa ha sottolineano il disprezzo verso la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, una concezione predatoria piegata solo a logiche di profitto» il commento della Cgil Campania.
GLI EFFETTI sulla salute emergono appieno a molti anni di distanza. Spiega l’associazione Mai più amianto (parte civile nel processo): «Tocca alle istituzioni attuare il Piano regionale amianto, completare la mappa dei siti inquinati, procedere alla rimozione di oltre 4 milioni di tonnellate disperse sul territorio, avviare le bonifiche e la sorveglianza sanitaria agli ex esposti con il Registro del mesotelioma, fermo da anni». Il settimo rapporto Inail del 2021 sottolinea: «Il Centro operativo della Campania non è operativo dal 2018». E comunque dal 1993 al 2018 non ha sempre funzionato a pieno regime così i dati, molto parziali, registrano solo 1.549 casi di mesotelioma, il 93,5% alla pleura.
L’ETERNIT giunse a Bagnoli nel 1938. Da 2mila i dipendenti diminuirono fino a 534. Per l’accusa si è trattato di omicidio perché, seppure la legislazione all’epoca era carente, non c’era un vuoto assoluto. In udienza la pm Frasca ha spiegato: «C’erano il dpr 303 del 1956, c’era la legge sulla tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, c’era la legge sui lavori insalubri e c’erano le informazioni. C’era persino una prescrizione che diceva: “Devi mettere le etichette” (per segnalare il pericolo ndr). Ci sono i filmati Luce dove i lavoratori mangiano il panino seduti sui sacchi di amianto senza etichetta. C’era già la legge 455 del 1942: asbestosi, malattia professionale potenzialmente mortale». E Schmidheiny veniva costantemente informato sullo stato dei siti.
IL CONGRESSO DI NEUSS del 1976 fa il punto sulla correlazione tra amianto e mesotelioma pleurico: «I direttori tecnici, dice uno dei testimoni, rimangono scioccati». Poi arriva la sentenza del Pretore di Napoli del 1983: «Qui – spiega la pm – il giudice fa uso della normativa dell’epoca per adottare una sentenza di condanna, il dpr 303/56. Fondamentali i verbali degli ispettori del lavoro all’epoca presso lo stabilimento. Il Pretore di Napoli inoltre dà atto di un articolo de Il Mattino del 1979 “Eternit di Bagnoli: 200 operai malati di asbestosi, una grave malattia polmonare”. Così si decide di tenere una campagna di disinformazione. In una lettera: “Bisogna dissociarsi da Selikoff”, studioso delle malattie da mesotelioma pleurico».
ELENA BRUNO, legale dell’associazione Mai Più Amianto: «A sentite il materiale probatorio c’è da rabbrividire, Schmidheiny avrebbe dato direttive molto precise sul silenzio da tenere sul problema amianto. Eppure è una malattia terribile, si muore per mancanza d’aria, soffocati. La stessa pm ha letto testimonianze di operai che raccontavano: “Non te ne accorgi quando respiri amianto poi a un certo punto ti devi mettere la bombola d’ossigeno e dopo 2 anni, 2 anni e mezzo muori”. Polveri che hanno infettato il quartiere anche dopo la chiusura del sito».
GIOVANNI SANNINO, ex segretario Fillea Campania, all’Eternit ha lavorato: «C’era un unico grande capannone e dentro i vari reparti. Quello dei tubi e quello della componentistica, delle onduline. All’ingresso c’era il capanno della mensa, si andava a mangiare con le tute impregnate di scorie, pasta e fagioli con fibra blu. Salari da fame e pensioni mortificanti. I vecchi commissari di fabbrica raccontavano la straziante processione delle visite mediche nel cortile della fabbrica con le pressoché inutili schermografie. Dopo le visite l’immancabile diagnosi: bronchite S1, smetti di fumare».
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