«Preferisco rispettare la legge del mare che quella degli uomini, perché la legge del mare dice che gli uomini vanno salvati». Così Oscar Camps, fondatore della Open Arms, ieri mattina a Palermo prima di entrare nel carcere Pagliarelli dove si è svolta la seconda udienza del processo a Matteo Salvini, finito alla sbarra con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito, nell’agosto del 2019 – quando era ministro dell’Interno – lo sbarco di 147 migranti salvati alla ong Open Arms: «Non c’è cosa più importante che salvare una vita umana – ha aggiunto Camps – . Una persona per annegare ci mette 3 minuti e sono tre minuti di sofferenza terribile».

All’udienza, presente lo stesso leader leghista (assistito da Giulia Bongiorno) che anche in questa occasione ha trasformato il fuori dall’aula in una palestra mediatica fitta di dichiarazioni sui fronti caldi della politica nazionale – è stato il giorno delle testimonianze delle tante parti in causa sul caso Open Arms, quindi ammiragli, capitani della guardia costiera, uomini della guardia di finanza, che hanno raccontato le ore drammatiche di quella settimana di agosto precedente lo sbarco naufraghi a Lampedusa, imposto dalla magistratura agrigentina per le gravi condizioni in cui versavano i migranti raccolti in mare dalla nave della Open Arms.

Sprezzante come sempre, Salvini: «Stiamo parlando di una nave spagnola che ha raccolto i migranti in acque libiche, ha gironzolato per quindici giorni nel Mediterraneo, che ha rifiutato di andare in Tunisia, di andare a Malta e in Spagna e ha deciso di venire in Italia infrangendo le leggi e a processo ci va il ministro che ha difeso il suo Paese. Siamo veramente su scherzi a parte».

La replica del fondatore della Open Arms: «All’udienza di oggi è emerso che abbiamo agito rispettando le convenzioni internazionali. Mi aspetto giustizia per tutte persone che hanno subito sofferenze». La prossima udienza il 21 gennaio.