L’intervista rilasciata al manifesto da Bahey el-Din Hassan e pubblicata domenica su queste pagine non è passata inosservata al regime egiziano, che ha scatenato una vera e propria offensiva mediatica contro lo storico difensore dei diritti umani, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies, costretto a lasciare il paese nel 2014 per le minacce di morte ricevute.

«Spia», «agente straniero», «traditore», «mercenario», sono alcune delle espressioni ripetute più volte nei suoi confronti.

L’attacco è partito dal canale privato TeN TV (Tahrir Egyptian Network) da un conduttore noto per la sua vicinanza ai servizi di intelligence del regime ed è stato poi ripreso da quattro diverse testate della carta stampata, tra cui una statale.

Dieci minuti di invettive interamente dedicati alle parole che l’attivista egiziano in esilio ci ha consegnato in un lungo scambio di domande e risposte. Tra urla e gesti teatrali il presentatore evoca più volte presunti complotti orchestrati da Bahey el-Din Hassan e dalla sua organizzazione, colpevole di ricevere finanziamenti stranieri «con l’obiettivo primario di danneggiare lo Stato egiziano» in combutta con il Qatar, la Turchia e i Fratelli musulmani. Chiede un processo per alto tradimento e la revoca della cittadinanza per chi «non ha alcun orgoglio patriottico».

 

Il giornalista è lo stesso che l’anno scorso aveva pubblicamente chiesto alle autorità egiziane di assassinare Bahey el-Din Hassan all’estero con un avvelenamento chimico come quello che uccise l’ex agente sovietico Sergej Skripal nel Regno unito.

Una minaccia non irrealistica se si pensa ai pedinamenti che proprio a Roma alcuni attivisti egiziani hanno subito negli anni passati, segno di un’intensa attività dei servizi di intelligence del Cairo anche nel nostro paese.

L’intervista ha suscitato particolare scandalo per alcune presunte «ammissioni scioccanti» fatte dall’attivista egiziano al manifesto. Bahey el-Din Hassan racconta l’esperienza che lui insieme ad altri intellettuali ed esponenti dell’associazionismo civico in esilio hanno lanciato da alcuni mesi per tentare di organizzare la diaspora egiziana oltre le divergenze ideologiche, sulla base di una agenda basata sui diritti umani.

Ma le attività dell’Egyptian Human Rights Forum (la nuova organizzazione di cui Bahey el-Din è fondatore e consulente) sono tutte alla luce del sole, e anzi hanno l’obiettivo dichiarato di fare pressione sui governi stranieri e sensibilizzare l’opinione pubblica dei paesi ospitanti.

L’altra affermazione che tanto inquieta il presentatore pro-regime riguarda l’attività delle organizzazioni per i diritti umani operanti in Egitto, costrette a lavorare in condizioni di «semi-clandestinità». «Perché operare in segreto? Hai il coraggio di dirci chi sono queste organizzazioni segrete?», tuona il conduttore.

Anche questo però non è un mistero: le leggi attuali e il giro di vite imposto contro la società civile impediscono di fatto qualsiasi attività che non sia pienamente allineata al regime di al-Sisi. Eppure, nonostante i fondi ridotti al lumicino, le sedi chiuse, i beni sequestrati, gli attivisti incarcerati o sotto minaccia di arresto, i ricatti contro i familiari, c’è ancora chi difende le vittime e denuncia gli abusi.

Insomma, l’accusa è la solita: «Fai politica o ti occupi di diritti umani?». «Chiedo agli avvocati patriottici: cosa ne facciamo di Bahey el-Din Hassan dopo questa intervista?», chiosa il presentatore. È probabile che le conseguenze non si faranno attendere.

Ma chi ha difeso la dignità umana di fronte a tale brutalità non si lascia fermare da queste intimidazioni. «Questa non è la prima volta che vengo minacciato, e non sarà l’ultima – ci dice Bahey el-Din – Questo è un prezzo che tutti i difensori dei diritti umani indipendenti pagano. Ho una responsabilità morale verso gli oltre 60mila prigionieri politici e le migliaia di persone uccise nei massacri o con esecuzioni extra-giudiziali e sparizioni. Non abbandonerò questa responsabilità, anche se vengo accusato di essere anti-patriottico da un regime militare illegittimo e da un presidente con una storia senza precedenti di crimini contro i diritti umani». Cosa non farebbe al-Sisi per mettere a tacere persone così.

Qualcosa però a livello internazionale si muove: ieri l’Onu ha deciso di rinviare la conferenza sulla tortura prevista al Cairo il 4 e 5 settembre e duramente criticata dalle ong indipendenti escluse dal tavolo.