Avenue Bourguiba, la via più importante di Tunisi e non solo per il suo carico simbolico legato ai ricordi della rivoluzione del 2011, è tornata a vedere le prime manifestazioni dal colpo di mano del presidente Kais Saied il 25 luglio scorso.

Lungo il grande viale alberato che ospita caffè, statue, chiese e anche il ministero dell’Interno, circa mille persone si sono trovate contro quello che senza fraintendimenti viene considerato un vero e proprio colpo di Stato. Ufficialmente apartitica, la manifestazione è riconducibile al partito di ispirazione islamica Ennahda, il più colpito dalla decisione del responsabile di Cartagine quando ha sospeso il parlamento, sciolto il governo e si è dato pieni poteri.

«Salvare la democrazia», «Francia vattene», «colpo di Stato» e cartelli per la liberazione del deputato Yassine Ayari, vittima di uno dei tanti arresti compiuti da Saied in quasi due mesi. Di fronte ai chiari messaggi lanciati dal migliaio di persone assiepate lungo i gradoni del Teatro municipale si è formato un altro gruppo a favore, invece, del presidente.

Qui i cori erano tutti rivolti contro Rached Ghannouchi, a capo del parlamento, e il suo partito Ennahda, segno che i bersagli erano chiari da subito. A dividere le due formazioni un folto dispiegamento di forze dell’ordine, impegnate a gestire il traffico stupito di avenue Bourguiba e impedire pericolosi contatti tra i due schieramenti.

«Oggi sono qui perché Kais Saied è un dittatore – racconta Mohamed Yusuf, militante di Ennahda (anche se fatica ad ammetterlo) – Siamo qui perché se ne deve andare, vuole prendere tutti i poteri ed è contro la libertà».

In quella che è scivolata via come una giornata senza particolari tensioni, il dato che rimane è che oggi la Tunisia si trova spaccata letteralmente in due. Lo era da tempo ma ieri ha dimostrato in maniera plastica la divisione interna. «Traditori» è stata una delle parole più usate dai pro-Saied, che non erano organizzati ma hanno voluto comunque mostrare la loro opposizione verso «chi vuole riportare indietro la Tunisia».

Il sostegno popolare al responsabile di Cartagine rimane alto e stabile. Bisogna capire fino a quanto durerà: Saied ha giustificato il reset istituzionale del 25 luglio con le precarie condizioni economiche e la corruzione che affligge il paese. Una scommessa di fatto che rischia di logorare le già flebili speranze dei tunisini per un futuro dignitoso. Le prossime settimane promettono di aumentare le tensioni interne.

Chi è mancato ieri è stata la società civile e la sinistra in generale. Una non partecipazione voluta per evitare spiacevoli paragoni con il movimento islamico di Ennahda. Una non partecipazione voluta anche perché oggi la società civile fa fatica a esprimersi apertamente contro Saied in uno scenario che resta alquanto nebuloso e pieno di timori per le conquiste democratiche di questi anni.

Ai vari arresti proseguiti in queste settimane, Saied ha rilasciato importanti dichiarazioni riguardo il futuro istituzionale della Tunisia mentre era impegnato nei giorni scorsi nell’ennesimo bagno di folla, sempre in avenue Bourguiba. Oltre a promettere la formazione di un governo, mai arrivato in quasi due mesi di poteri straordinari, ha fatto riferimento a una riforma costituzionale, giustificata dal fatto che «i tunisini hanno rifiutato quella del 2014».

Sullo sfondo di quella che sarà la Tunisia dei prossimi mesi rimane il campanello d’allarme della questione sociale ed economica. A farlo suonare sono state due immolazioni col fuoco in neanche una settimana. La prima il 6 settembre di un ferito della rivoluzione del 2011. La seconda pochi giorni dopo di un uomo di 35 anni, esasperato dalla propria condizione di povertà assoluta. Un gesto avvenuto in uno dei luoghi simbolo di Tunisi: avenue Bourguiba.