«Inviare il Documento programmatico di Bilancio alla Commissione senza aver reso note le misure al Parlamento italiano è un atto di una gravità assoluta. Se il governo non passa dalle Camere ora, figuriamoci cosa accadrebbe nel caso in cui vincesse il Sì alla riforma che concentra maggiori poteri nelle mani del presidente del Consiglio». La legge di Bilancio firmata Renzi-Padoan non sconta solo le difficoltà a Bruxelles, ma ieri ha ricevuto un nuovo affondo dai Cinquestelle, che accusano l’esecutivo di aver «violato la legge»: «La manovra sarebbe dovuta arrivare alle Camere entro la giornata di ieri (giovedì per chi legge, ndr), ma nulla si è visto e a questo punto non è detto che giunga entro lunedì come vociferato. Vorremmo sapere cosa ne pensano i presidenti delle Camere e il capo dello Stato».

La legge di Bilancio è comunque sul tavolo della Commissione Ue, ed è consultabile on line. Per questo può essere utile ripercorrere i pilastri principali e le misure previste.

Innanzitutto si evidenzia che «continua la ripresa dell’economia italiana», per quanto lo stesso governo ammette che sia «lenta»: : +0,7% nel 2015, + 0,8% nel 2016, la previsione per l’anno prossimo (giudicata ottimistica dai principali istituti italiani ed esteri) è al +1%. Quanto agli effetti della Brexit, secondo il testo «gli effetti iniziali» saranno «limitati per l’area euro», ma vengono ritenuti «significativi i rischi di medio termine».

Quanto al deficit, il governo spiega che nel 2016 si attesta al 2,4%, mentre per il 2017 era stato previsto nel Def aggiornato a settembre un 2%: ma poi le Camere hanno autorizzato un margine di un ulteriore 0,4% per affrontare le spese «straordinarie»: l’emergenza migranti, le opere post terremoto e di prevenzione sismica. Il governo ha poi deciso di utilizzare «tre quarti» di questo margine, e infatti sul tavolo della Ue ha portato un 2,3%. Dato che, come abbiamo visto, Bruxelles contesta, preferendo che fosse portato al 2,2%. Da lì il braccio di ferro con Renzi, che il premier ha deciso di intraprendere anche per aumentare il suo consenso interno in vista del referendum del 4 dicembre.

Il pareggio strutturale del deficit viene rinviato al 2019, anno in cui la disoccupazione – sempre nelle previsioni del governo – dovrebbe attestarsi al 9,9% (rispetto all’11,5% con cui dovrebbe chiudersi il 2016).

Il debito è la nota dolente, perché per il momento la riduzione non riesce: anzi, al contrario la mole è in aumento. Nel 2015 il rapporto debito/Pil è sceso dal 132,7% al 132,2%, ma quest’anno dovrebbe risalire al 132,8%. «Tale variazione – spiega il ministero dell’Economia – è dovuta sia all’evoluzione più modesta attesa per il Pil nominale» che «alla riduzione significativa degli introiti previsti dalle privatizzazioni per l’anno in corso». L’esecutivo aveva preventivato incassi per lo 0,5% di Pil quest’anno, ma si è dovuto accontentare di uno 0,1%, essendo riuscito ad attuare solo la vendita del 46,6% di Enav. Si è soprasseduto sulla cessione degli immobili, causa «volatilità del mercato». Si confermano però gli obiettivi per i prossimi tre anni.

Rispetto alle misure previste, il governo spiega che la legge di Bilancio si concentra su «investimenti, coesione sociale e sviluppo». L’esecutivo «intende attuare politiche per lo sviluppo socio-economico e la crescita; aumentare gli investimenti pubblici; rinnovare (con un approccio più selettivo) gli incentivi per gli investimenti privati (“super-ammortamento”), per le imprese innovative (“Industria 4.0”) e per la ricerca e sviluppo; sostenere il finanziamento delle Pmi (attraverso garanzie statali e agevolazioni fiscali); prevedere misure a favore delle famiglie; aumentare le prestazioni previdenziali per i pensionati a basso reddito; stanziare risorse per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego (un congelamento dei salari è in vigore dal 2010)».

Al netto della spesa straordinaria per i terremoti, la prevenzione e la migrazione di cui sopra, l’aumento complessivo della spesa è pari allo 0,6% del Pil nel 2017. Se a questo si aggiunge l’abrogazione dell’aumento dell’Iva, il deficit arriverebbe al 3,1% del Pil. Si centra però l’obiettivo del 2,3% finale grazie alla spending review, mentre aumenti di gettito secondo il governo verranno dal «miglioramento della compliance fiscale» (leggi rottamazione delle cartelle Equitalia, ndr), misure per le partite Iva, «l’estensione della voluntary disclosure e le aste per le frequenze».