Più privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica e una manovra correttiva dello 0,2% del Pil nel 2014 e dello 0,4% nel 2015. Sono le principali raccomandazioni alla politica economica italiana che la Commissione Europea ha diffuso ieri in attesa di sottoporle all’approvazione del Consiglio Ue. Quella dell’esecutivo peggiore della storia dell’Unione Europea non è tuttavia una bocciatura del governo Renzi, ma un invito ad approfondire la recessione continuando sulla strada dell’«austerità espansiva».

Una politica basata su un’illusione smentita da quattro anni di austerità: più tagli alla spesa pubblica corrispondono ad un aumento della crescita. Renzi ha accolto con un tranquillo «no comment» il responso così tanto atteso. Per lui è la conferma dei passi già fatti in attesa della formazione della nuova Commissione e del semestre italiano alla guida Ue che inizia tra un mese.

Rinviate per non fornire ai populismi anti-euro uno slancio ulteriore alle elezioni del 25 maggio, le otto raccomandazioni della Commissione Ue consegnano al governo italiano un giudizio non lusinghiero sul documento di economia e finanza (Def) e più di qualche grattacapo per la legge di stabilità che applicherà le stesse ricette che hanno aumentato il debito pubblico (nel 2014 quello italiano sfonderà il tetto del 135%), la disoccupazione di massa (al 12,7%, quella giovanile al 42,4%) e la precarizzazione selvaggia.

Su quest’ultimo punto, Bruxelles si è detta soddisfatta: applaude il decreto Poletti, chiede la riforma dei centri per l’impiego contenuta nella legge delega del Jobs Act in discussione in parlamento, il ridimensionamento della cassa integrazione in deroga e la definizione non meglio specificata di un sussidio di disoccupazione.

Il redivivo commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn ha graziato Renzi concedendo lo slittamento del pareggio di bilancio strutturale dal 2015 al 2016. Una decisione controversa secondo le indiscrezioni, non smentite, diffuse ieri. Nella notte tra domenica e lunedì Renzi avrebbe fatto pesare sul tavolo la sua unica credenziale – il successo elettorale – per evitare una bocciatura dalle conseguenze destabilizzanti. Dal testo finale sarebbe stata cancellata la frase che negava lo slittamento del pareggio di bilancio «a causa del rischio di non conformarsi con gli obiettivi di riduzione del debito». Per il 2014 l’Italia non finirà nella serie B dei paesi sui quali pende una procedura d’infrazione.

Alla base dello scetticismo della Commissione sullo scenario macroeconomico italiano (definito con ironia «leggermente ottimistico») c’è la previsione sulla crescita per il 2014. Il governo ragiona sullo 0,8% sul Pil, la Commissione Ue sullo 0,6%, una percentuale che a fine anno potrebbe essere peggiore in uno scenario deflattivo dove i consumi continueranno a diminuire.

Questa incertezza fa tremare i bilanci e imporrà una manovra aggiuntiva, esclusa il 16 maggio da Renzi e ieri dal ministro dell’Economia Padoan, o più probabilmente tagli più pesanti nella «spending review» parcheggiata in un porto delle nebbie. Stando al Def, il governo intende «risparmiare» circa 4,5 miliardi nel 2014, fino a 17 per il 2015 e 32 per il 2016. I 4,5 miliardi sono fondamentali quest’anno per finanziare gran parte del bonus Irpef grazie al quale Renzi ha stravinto le europee. Anche la Commissione chiede di renderlo strutturale a condizione di rendere strutturale la riduzione della spesa che prevede, tra l’altro 2 miliardi di tagli alla sanità.

Su queste coperture Bruxelles ha espresso perplessità, così come sull’impatto economico del relativo «aggiustamento strutturale»: sarà dello 0,1% sul Pil diversamente da quanto scritto dal governo nel Def (lo 0,7%). Da qui l’invito a tagliare ancora la spesa; rafforzare le privatizzazioni già annunciate dalle quali il governo prevede di ottenere lo 0,7% del Pil tra il 2014 e il 2017; dettagliare i tagli per la riduzione del debito fino al 2017. Su questa voce le stime del Def sono fumose, scrive la Commissione. E non potrebbe essere così perché la crescita sarà inferiore al 3% necessario per il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ad allontanare lo spettro del Fiscal Compact. Salvo diversi accordi, dal 2016 l’Italia dovrà tagliare un ventesimo del debito (50 miliardi di euro all’anno) fino al 2036. Un massacro che renderà un pallido ricordo le attuali incertezze.

La Commissione ha invitato inoltre ad alleggerire la pressione fiscale sul lavoro, spostandolo verso i consumi, i beni immobili (accelerando la riforma del catasto) e l’ambiente. Chiede di rivedere le aliquote dell’Iva, continuare la lotta all’evasione fiscale, riorientare la spesa sociale dagli anziani all’«attivazione» dei giovani. Non nuovo è l’invito ad aumentare le spese per l’istruzione al paese che ha tagliato tra il 2008 e il 2013 (9,5 miliardi in meno a scuola e università), ma su questo la Commissione è reticente. Così come lo è il governo che ha occultato il problema investendo poco più di 240 milioni di euro tra il 2014 e il 2015 sull’edilizia scolastica.

Più forte che mai resta la pressione a destrutturare i contratti nazionali nella scuola, diversificando le carriere dei docenti in base al «merito» e alla «produttività» e non sull’anzianità di servizio. Per la Commissione Ue bisogna rafforzare la valutazione nel sistema educativo: più test Invalsi per tutti, come vuole la pedagogia neo-liberale. Bruxelles insiste inoltre sul «modello tedesco» nella scuola, l’apprendimento basato sulla formazione professionale e l’apprendistato. Austeri fino alla fine, neo-liberisti senza speranza. A Bruxelles c’è chi ha un’idea di società e in Italia chi la fa rispettare. Costi quello che costi.