La relazione annuale del Garante per la protezione dei dati personali Antonello Soro – pronunciata ieri alla Camera dei deputati – è sembrata un po’ come il Conte zio di Manzoni: «..sopire, troncare….troncare, sopire».

Vale a dire, a fronte della Grande Guerra in corso tra tutela dell’identità delle persone nell’era digitale e il «Sesto potere» della sorveglianza globale (è ancora vivo e fumante lo scontro nel congresso degli Stati uniti), la pur impegnata e seria comunicazione del responsabile dell’Autorità è sembrata dribblare gli scogli. E spuntano ancora una volta i due riflessi condizionati del tempo, dal vago sapore censorio: sull’uso delle intercettazioni telefoniche da parte dei giornalisti; sui rischi del web, veri ma da non enfatizzare in un’Italia tuttora assai arretrata per ciò che riguarda Internet e banda larga.

Comunque, pur nella prudenza, un freno è stato messo all’inquietante iniziativa del governo sul controllo a distanza dei lavoratori. Si tratta dell’articolo 23 del decreto sulle Semplificazioni, attuativo del tristemente famoso «Jobs Act». E sì, perché non sono tutelati da nessun vincolo gli «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa…».

Stiamo parlando di tablet, telefoni cellulari, iPad, e così via. Ecco, allora, che il «sesto potere- grande fratello» si dispiega con ben altra intrusività rispetto alle telecamere nelle strade o alle strisciate delle carte di credito.

Lo Statuto del 1970 è ulteriormente amputato, venendo meno ogni salvaguardia delle squisite prerogative della persona che lavora. Che c’entri tutto questo con la disciplina o la sicurezza non è dato sapere, essendovi una normativa piuttosto stringente su tali temi.

Ma non è qui il punto. «Sorvegliare e punire» scriveva Foucault (1975); la sorveglianza è una dimensione-chiave del mondo moderno, aggiungono Bauman e Lyon (2013). Insomma, il decreto in questione è un altro strumento preventivo, una diminuzione delle libertà, una cinica grida coercitiva.

Non è esagerato pensarlo, visto che il «Jobs Act» sdogana la parola «licenziamento». Tra l’altro, persino il testo-base parla molto genericamente – art.1, comma 7, lettera e – di disciplina dei controlli a distanza «tenendo conto dell’evoluzione tecnologica». Pare evidente un eccesso nella delega, da stigmatizzare con nettezza. Ecco, è legittimo attendersi dal Garante una segnalazione formale al parlamento, di fronte ad un articolato che della privacy si fa davvero un baffo.

Attenzione. Il rischio sta diventando generale e non si limiterà al mondo del lavoro. Quest’ultimo è messo platealmente nel mirino, in quanto nelle sottoculture dominanti conta poco e va svalorizzato. E’ la vecchia linea confindustriale che – purtroppo – trova la sua epifania proprio con l’attuale compagine governativa. Altre categorie seguiranno, visto che la sorveglianza capillare e intrusiva è un «cult» del «mainstream» odierno. Del resto, la mancanza di egemonia e di visione strategica si tramuta nell’esasperazione del controllo.

Un nuovo, aggiornato fattore K, che non sta per comunista, bensì per dissenso o pensiero critico. Importante la mobilitazione avviata dalla Cgil, che chiede una profonda modifica del decreto. E’ bene che cresca in queste ore l’iniziativa, a cominciare dalle commissioni competenti di Camera e Senato. Quel comma va cancellato.

Un chiarimento, se necessario. Nell’era digitale pubblico e privato sconfinano a vicenda. E separare in maniera manichea le due sfere è pressoché impossibile. O che se ne fa – chi lavora – di tecnologie a rischio?