Il principe Mohammed bin Salman è un giovane rinnovatore desideroso di combattere la corruzione che dilaga ai vertici del Regno? Ordinando la retata che sabato sera ha portato nella prigione di lusso, creata in un hotel a cinque stelle, 11 principi e 38 fra ministri, ex ministri e funzionari delle forze armate e di sicurezza interna, il principe ereditario saudita piuttosto si è proposto come un dittatore in erba. Ha detto che è pronto ad usare il grande potere che gli ha dato il padre, re Salman, nel modo più spregiudicato e brutale per mettere a tacere chi non ha digerito la sua nomina ad erede al trono al posto di Mohammed bin Nayef, il nipote del sovrano. Tre giorni fa non ha esitato ad ordinare l’arresto persino del principe Walid bin Talal, il miliardario più noto dell’Arabia saudita. Eppure l’accusa di appropriazione indebita e malversazione rivolta agli arrestati fa sorridere perché l’oceano di petrodollari che sommerge l’Arabia saudita da decenni genera e continuerà a generare la risacca della corruzione, ad ogni livello. Lo sanno tutti, è un gioco a carte scoperte.

Ama la tecnologia il 32enne Mohammed, che vuole costruire “Neom”, una smart city popolata più da robot che da esseri umani. Ma non è un modernizzatore. Ha scritto un ambizioso piano di sviluppo del Paese, “Vision 2030″, ma non guarda al progresso. Progetta una enorme area turistica sul Mar Rosso aperta agli stranieri ma non pensa alla liberazione delle donne saudite. In realtà l’erede al trono dei Saud vuole solo il potere, tutto per lui, e sino a oggi ha scardinato una sola regola, quella che in Arabia saudita ha voluto per decenni che i panni sporchi si lavassero in famiglia. «La detenzione di principi e altri funzionari segue l’avvenuta ondata di arresti di studiosi, accademici, intellettuali e predicatori. Ciò conferma che (la retata) è parte del disegno di Mohammed bin Salman di mettere fuori gioco chi ancora si oppone alla sua nomina ad erede al trono in sostituzione di Mohammed bin Nayef», scriveva ieri al Quds al Arabi. Potrebbe però rivelarsi un boomerang ha avvertito Fuad Ibrahim, del quotidiano libanese al Akhbar: «Il principe avrà pure guadagnato il favore delle nuove generazioni saudite che chiedono il rinnovamento ma ora gli investitori stranieri ci penseranno due volte prima di impegnarsi in un Paese dove la corruzione è tanto diffusa». Senza sottovalutare i sospetti generati dall'”incidente aereo” in cui ha perso la vita il principe Mansour bin Muqrin, precipitato con il suo elicottero vicino al confine con lo Yemen. Qualcuno sussurra che stesse scappando dal Paese per evitare l’arresto.

Il principe Mohammed – re Salman potrebbe cedergli lo scettro molto presto – batte il pugno sul tavolo anche in politica estera. Il razzo “Burqan” lanciato sabato sera dallo Yemen e che ha sorvolato Riyadh, ha fornito ai sauditi un nuovo motivo per puntare il dito contro l’Iran, che appoggia i ribelli sciiti Houthi. Poi, per bocca del ministro degli esteri al Jubeir, ha accusato Hezbollah del lancio del missile e parlato di “atto di guerra”. Immediata la replica del ministro degli esteri iraniano Javad Zarif: «l’Arabia saudita è impegnata in guerre di aggressione, bullismo regionale, comportamento destabilizzante e provocazioni rischiose ma accusa l’Iran per le conseguenze». Il terreno di scontro principale tra Riyadh e Tehran comunque è tornato ad essere il Libano. «L’ostaggio», questo era ieri il titolo di al Akhbar secondo il quale le dimissioni presentate tre giorni – proprio da Riyadh – dal primo ministro Saad Hariri sarebbero frutto di un ricatto. Il premier libanese, che è anche cittadino dell’Arabia saudita dove ha importanti interessi economici, sarebbe stato posto di fronte ad un aut aut: dimissioni o arresto per corruzione. Vero, falso? Non è facile accertarlo. Certo è che in Libano nessuno crede al pericolo imminente di attentati da parte del movimento sciita Hezbollah contro Hariri – esercito e agenzie di sicurezza interni li escludono –, paventato pare da servizi di sicurezza stranieri. Non ha dubbi il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, bersaglio di duri attacchi da parte di Hariri. «Dobbiamo ricercare le ragioni delle dimissioni a Riyadh» ha detto domenica in diretta tv. Hariri, ha aggiunto Nasrallah, «era intenzionato a proseguire la sua attività di governo e lavorava per cercare sostegno internazionale all’Esercito e organizzare il congresso a Parigi dei Paesi donatori del Libano».

Non ci credono neppure in Israele, sebbene il premier Netanyahu abbia colto l’opportunità per attaccare di nuovo Hezbollah e Iran. «La mossa (le dimissioni di Hariri) fa parte di una strategia formulata dalla leadership saudita che include altri passi volti a frenare l’influenza espansiva dell’Iran in questa regione», hanno scritto Eldad Shavit e Yoel Guzansky dell’Istituto per la sicurezza nazionale di Tel Aviv. Il quotidiano liberal Haaretz domenica ha ammonito Israele dal farsi trascinare dai sauditi in un conflitto con l’Iran.