Il 24 giugno è stata una delle giornate più turbolente per la Knesset. Da tempo i deputati arabi, guidati da Ahmed Tibi e Mohammed Barakeh, non protestavano con tanta veemenza contro una legge in discussione dal Parlamento. Riunita in sessione plenaria, la Knesset ha approvato in prima lettura il piano noto come “Begin-Prawer”, ossia la “ricollocazione” – di fatto un trasferimento forzato – per circa 30 mila beduini del Neghev. Il provvedimento ora è in commissione per eventuali emandamenti, poi sarà sottoposto di nuovo al voto dell’assemblea.

Prima e dopo l’approvazione si sono vissuti momenti di tensione. Tibi ha intenzionalmente rovesciato un bicchiere d’acqua sul testo della legge da approvare. Barakeh e altri deputati arabi hanno urlato con forza la loro condanna del piano e sono stati espulsi dall’aula. Ma proteste sono arrivate anche da alcuni deputati ebrei, convinti che il piano “Begin-Prawer” rappresenti una violazione aperta dei diritti di decine di migliaia di cittadini israeliani. La tensione è alta nel Neghev dove la popolazione beduina non intende abbandonare i suoi villaggi, non pochi dei quali non hanno mai ottenuto il riconoscimento da parte delle autorità anche se esistono da prima della creazione dello Stato di Israele. «Per anni i beduini hanno vissuto in villaggi privi dei servizi più elementari mentre intorno a loro crescevano e si sviluppavano i centri abitati da cittadini ebrei», spiega l’avvocato Rawia Aburabia dell’Associazione israeliana per i diritti civili, «il governo deve decidere se vuole una giusta soluzione che preveda il riconoscimento dei beduini del Neghev oppure attuare un piano che aumenterà l’alineazione, l’ostilità e la povertà tra queste comunità». Per le autorità di governo invece lo «spostamento» di 30mila beduini rientra in un piano di sviluppo e miglioramento di vita nel Neghev – dove, peraltro, saranno costruire o trasferite importanti basi militari – di cui beneficeranno anche le popolazioni arabe.

Il “Begin-Prawer” è stato approvato il 27 gennaio dal governo Netanyahu. Ora attende solo il via libera della Knesset. Prevede la “ricollocazione” (anche con la forza, se necessario) di 30 mila dei 150mila beduini del Neghev in sette township costruite negli anni ’70 – come Rahat, Kseifa e Hura – e l’eliminazione dei «villaggi non riconosciuti». Saranno dichiarati «esistenti» solo i centri dove la popolazione raggiunge una soglia numerica minima, gli altri saranno accorpati e le popolazioni «trasferite». Il progetto in effetti prevede anche risarcimenti economici a chi perderà la terra e la casa ma è stato concepito senza avviare alcun dialogo vero con le popolazioni interessate.

I beduini sostengono che l’intenzione del governo è solo quella di mettere le mani su 80 mila ettari di terra araba. Già in passato il quotidiano liberal Haaretz aveva accusato il governo di ignorare la delicatezza della questione, per avere deciso di abbattere 20.000 capanne o baracche e il “trasferimento” di migliaia di persone verso edifici ancora da costruire e, in ogni caso, insufficienti ad accoglierle. Il “Begin-Prawer” in ogni caso parte da lontano. E’ stato Ariel Sharon, l’ex premier israeliano (dal 2006 in stato di coma profondo) ad aver varato i progetti per risolvere il «problema beduino». Fu lui che nel 1978 istituì la «polizia verde» incaricata di individuare e rimuovere i campi di tende e le case abusive nel Neghev. Piani rilanciati dopo il 2001 e ora portati a termine da un altro primo ministro.

Abitanti originari del Neghev, i beduini sono considerati solo degli «ospiti» da un buon numero di israeliani. E lo Stato non esita a usare la forza contro di loro, con le ruspe sempre pronte a demolire «insediamenti illegali», come ad Arakib dove le case sono state abbattute tutte le volte che gli abitanti e gli attivisti le hanno ricostruite. In questi giorni un tribunale dovrà valutare il ricorso presentato dagli abitati di of Umm el-Hieran, villaggio destinato alla distruzione per far posto, dicono i beduini, a una cittadina per israeliani ebrei. Nessun riconoscenza quindi per i beduini che pure ogni anno a centinaia si offrono volontari per il servizio militare nonostante la legge escluda gli arabi dalle Forze Armate (fanno eccezione i drusi). Per Nili Baruch, dell’associazione Bimkom «L’unica soluzione possibile per il Neghev è il riconoscimento dei villaggi beduini e dare agli abitanti le infrastrutture e i servizi ai quali hanno diritto. Solo in questo modo si potrà sviluppare il Neghev in pace e giustizia».