Un tribunale locale della regione del Kansai, Giappone centro-occidentale, ha bloccato la riattivazione di una centrale nucleare considerata idonea dalla autorità di sorveglianza sugli standard di sicurezza post-Fukushima e pronta al restart. «Anche in caso di conformità ai nuovi standard non è garantita la sicurezza», ha scritto nelle motivazioni della sentenza il giudice Hideaki Higuchi. Finché l’ordinanza, che ha carattere temporaneo, non sarà sospesa, i reattori non potranno essere riaccesi.

Higuchi ha messo in discussione le proposte di messa in sicurezza dell’impianto di Takahama fatte da Kepco sulla base di un terremoto «standard». «Nel caso si verificasse un terremoto al di là delle previsioni, c’è il rischio di danni alla struttura, a tal punto da intaccare anche il nucleo dei reattori». Inoltre, sottolinea Higuchi, le strutture adibite allo stoccaggio delle barre di combustibile esausto, non sono abbastanza solide da sopportare lo stress di un sisma che comprometta gli impianti di raffreddamento.

Evitare qualsiasi mossa affrettata e scongiurare il rischio di una nuova Fukushima insomma, questo l’idea di fondo della sentenza. Higuchi aveva già detto no a Kepco un anno fa, fermando, al termine di una causa ordinaria, la riattivazione di due reattori nell’impianto di Oi, sempre nella provincia di Fukui. Il tribunale provinciale a così accolto la richiesta di un gruppo di nove cittadini locali che avevano presentato alla corte una petizione per fermare il progetto di riattivazione.

L’azienda che gestisce l’impianto, la Kansai Denryoku – Kepco – ha già fatto sapere che farà ricorso contro la decisione che rischia di compromettere severamente i propri piani operativi. Secondo quanto scrive il Nikkei Shimbun, principale quotidiano economico-finanziario giapponese, la decisione di oggi rischia di diventare una pesante mattonella sul tentativo dell’azienda di riportare i propri bilanci in attivo dopo 5 trimestri in passivo.

A pesare sono soprattutto i costi di approvvigionamento dei combustibili. Soddisfatti invece i petizionisti, che per tramite dei loro avvocati hanno sottolineato il peso «storico» della decisione. «È un passo enorme verso l’abolizione dell’energia nucleare e in pratica ferma la riattivazione dei reattori». La sentenza arriva peraltro all’indomani dalla riconferma alla guida del governo della provincia di Fukui di Issei Nishikawa, che nella tornata elettorale di domenica – nella quale il Partito liberaldemocratico attualmente al governo si è riconfermato prima forza del paese – ha ottenuto un quarto mandato. Nishikawa ha subito fatto sapere che l’amministrazione provinciale risponderà alla sentenza «facendo della sicurezza degli impianti la sua massima priorità». L’intento di Nishikawa è comunque quello di proseguire sulla strada indicata dal governo conservatore di Shinzo Abe: ritornare al nucleare – che prima del 2011 forniva il 30 per cento dell’approvvigionamento energetico nazionale – anche se in forma diluita nel cosiddetto «energy mix».

A quattro anni dall’incidente nucleare di Fukushima, infatti, tutti i reattori ad uso commerciale presenti sul suolo dell’arcipelago giapponese – 48 – sono al momento spenti. Solo una centrale, Satsuma-sendai, nel sud del Paese, ha avuto il via libera alla riattivazione a novembre dello scorso anno, in un primo passo verso la riattivazione su cui Tokyo vorrebbe accelerare. La sentenza di oggi, tuttavia, mette anche in discussione l’affidabilità dei controlli effettuati finora dalla Nuclear Regulation Authority, l’organo deputato da dopo Fukushima al controllo degli standard di sicurezza delle centrali giapponesi.