È stata da poco pubblicata l’edizione inglese di un libro mitico, almeno per chi vive i movimenti, si tratta di L’Orda d’oro, stampato dalla Seagull Books, con una bellissima copertina. È forse il libro più significativo di Primo Moroni, quello che meglio racconta, indirettamente, la sua passione per il «fare rete», cercare i fili rossi mutevoli della controcultura e della lotta di classe, leggere il presente e indicare strategie per il futuro. È un’antologia, curata assieme a Nanni Balestrini, che documenta la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale del decennio 1968-1977. Di questo libro seminale sono uscite anche le edizioni in spagnolo, francese e tedesco.

Nel febbraio 2002, dopo qualche anno di riunioni e riflessioni, un gruppo di compagni e amici fondarono l’Archivio Primo Moroni, per proseguire l’attività di Primo, per conservare, raccogliere e diffondere le molteplici espressioni dei movimenti degli anni Sessanta-Settanta e quelle della stagione apertasi con gli anni Ottanta, nonché per promuovere iniziative culturali e di solidarietà sociale.
Il nucleo fondante del centro di documentazione è costituito dall’archivio dello stesso Primo Moroni, almeno quel che ne era rimasto dopo molteplici traversie (tra cui ingenti sequestri da parte degli organi repressivi dello Stato): varie migliaia di libri e riviste, opuscoli, ciclostilati, testi e audiovisivi prodotti dall’area dell’«editoria diffusa». Questo progetto costituisce una forma di affettuosa e necessaria «restituzione» a Primo, di riconoscenza, di amicizia politica.

L’Archivio è ospitato dal Cox 18, uno spazio sociale, occupato e autogestito dal 1976. Dopo la chiusura dell’ultima fra le sedi storiche della Calusca, nel 1992 Primo accettò l’invito dei compagni del Conchetta che gli mettevano a disposizione i locali per riaprire la libreria, quasi vent’anni dopo la sua inaugurazione, dando vita a una nuova esperienza fatta di scambio con gli occupanti dello spazio e con le «creature affini». La presenza della libreria, e successivamente dell’Archivio, all’interno di Cox 18 ha caratterizzato le attività, e ha contribuito a disegnare il poliedrico profilo di questo centro sociale. Negli anni la raccolta si è arricchita di fondi librari di militanti che parteciparono alle lotte di quegli anni. Il tesoro di questa biblioteca di Babele dei movimenti è composto da 10.000 volumi, tra libri, opuscoli e pubblicazioni; 1.500 testate di periodici; 150 opere e documenti. Assai ingente è però il materiale ancora da catalogare.

Mappe, cartografie, labirinti, geografie, concrezioni, nascondigli, topografie, giacimenti, pieghe, sentieri segnalati e passaggi segreti che dal passato arrivano al presente e guardano oltre, questo è il felice intrico che caratterizza l’Archivio Primo Moroni, una realtà che ha al suo attivo già vent’anni di attività e merita di essere conosciuta per le molteplici iniziative che si intrecciano con quelle del centro sociale occupato e autogestito Cox 18 e della libreria Calusca City Lights. Se qualcuno volesse un assaggio della molteplice configurazione di questa realtà, dovrebbe solo visitare il suo sito internet, un ricchissimo incastro di contenitori informativi, una miniera di riferimenti storici, politici, culturali. Ma mappiamo innanzitutto il luogo fisico, per chi non lo ha mai frequentato.

Questo spazio si trova vicino alla zona della movida milanese, sui Navigli, in un quartiere gentrificato che sta fra la circonvallazione interna e quella esterna, un vero nervo sociale scoperto su cui corrono le linee della filovia 90 e 91. Lì nei pressi, sul limitare meridionale del quartiere, c’è via Conchetta. Al civico 18 si accede da una porticina bassissima che si apre dentro un grande portone; una volta entrati si passa in un ampio cortile, uno dei pochi a non essere stato privatizzato tra i molti che un tempo rendevano accogliente il quartiere Ticinese.

A destra stanno i locali del Cox 18, con al piano terra la sala per concerti e presentazioni e nello scantinato quella per le mostre; mentre a sinistra troviamo le stanze della libreria Calusca, con le sempiterne montagne di libri che invadono lo spazio; dalla libreria si sale alla mansarda adibita a sala dell’Archivio. Anche qui, oltre le scaffalature, i materiali, i faldoni, gli scatoloni si contendono periodicamente gli spazi nel work in progress catalogatorio. Un luogo magico, contrario alla musealità, innervato invece di idee e progetti vivi, con una continua trasfusione di linfa che dal passato corre verso il futuro e che dal presente rivitalizza la memoria.

La Calusca è stata sin dai suoi inizi un crocevia di innumerevoli percorsi di elaborazione teorica, controinformazione, controculture e pratiche sociali non omologate. Così anche quando, nel 1992, la libreria ha preso il nome di Calusca City Lights, in onore di Ferlinghetti, Primo proseguì la sua funzione di connettore tra costellazioni, traiettorie e modi d’essere anche divergenti, di sensore delle soggettività e dei cambiamenti sociali, facendo della libreria uno spazio condiviso, radicalmente oltre la dimensione del «negozio di libri». Continuare – nello stile di Primo – a «condividere saperi senza fondare poteri», è uno degli obiettivi di questo luogo di sperimentazione dove il tempo scorre diversamente, non viene misurato in termini di prestazioni o di tornaconto. Va da sé che l’archivio è autonomo e autogestito, avverso alle noiose leggi del mercato.

Intervista al curatore dell’archivio

Iniziamo l’intervista con Tommaso, figura di riferimento dell’Archivio, in maniera informale, parlando del modo di stare al mondo di Primo Moroni e del suo metodo di lavoro politico: la cartografia dello spazio urbano è stata un’attività su cui si è sempre concentrato. Primo è stato storico e geografo di sé stesso e dei luoghi in cui ha abitato, elaborando un metodo di ricerca che teneva dentro il territorio, i soggetti sociali che lo attraversano e i processi produttivi, di cui si trattava di cogliere interrelazioni, cambiamenti e luoghi del conflitto sociale.
(Tommaso): Negli anni ’70 la Calusca era sede di comitati di lotta, punto di riferimento per tutte le eresie di movimento, libertarie e marxiste, femministe e omosessuali, per una miriade di collettivi di base e controculturali, e già negli anni ‘80 era uno dei luoghi di diffusione delle edizioni post-situazioniste dell’Encyclopédie des Nuisances, come si può evincere dagli indirizzari riportati sui loro fascicoli, questo per dire che già allora la Calusca era uno snodo riconosciuto internazionalmente proprio grazie al lavoro di collegamento fra realtà di movimento diverse. Tutto questo lavorìo, questa volontà di fare rete, nasceva da un’estrema ampiezza di vedute e da una grande curiosità, aspetti che caratterizzavano Primo. Le proposte editoriali della Calusca erano aperte e inclusive, Primo rifiutò più volte inviti a boicottare talune pubblicazioni perché non in linea con l’uno o l’altro gruppo politico.

Qual è la consistenza attuale dell’Archivio?
Nel corso degli anni si sono aggiunti parecchi fondi di materiale librario e archivistico, ciò significa che ci sono stati affidati dei materiali perché fossero messi a disposizione e questo ci sembra un riconoscimento del lavoro svolto in questi vent’anni. È tutto materiale che va catalogato e archiviato, altrimenti non può essere valorizzato. Molti sono i ricercatori italiani e stranieri che frequentano l’archivio, come anche gli attivisti e gli studenti che nel corso degli anni hanno contributo alla catalogazione.

L’Archivio accede a finanziamenti e contributi istituzionali?
Non abbiamo mai avuto finanziamenti di alcun tipo, e vogliamo continuare così. Ci è sembrato invece interessante accettare la forma di «restituzione» propostaci da Marco Fusinato, un artista italoaustraliano che aveva frequentato l’Archivio per le sue ricerche. Nel 2015, venne invitato alla 56ª edizione della Biennale d’arte di Venezia e, in polemica con la mercificazione dell’arte, Fusinato decise di vendere la sua opera – un libro che raccoglieva i frutti della sua ricerca fatta in Archivio sui movimenti di rivolta – non a un collezionista ma ai visitatori interessati, facendone un pezzo di materia storica, multiplo e tangibile, per ricordare che quella vicenda non è finita. Le copie del libro che costituivano l’installazione furono vendute con l’esplicita indicazione di contribuire all’attività dell’Archivio. Una straordinaria forma di colletta solidale.

Esiste un coordinamento degli Archivi di movimento?
È una vicenda complicata e annosa, ma a tutt’oggi non esiste nulla di strutturato. Si può rimandare ad alcune realtà che fanno rete: per esempio il Centro Studi Movimenti di Parma, tre o quattro anni fa, propose di realizzare una mostra comune sul ’68, gli archivi anarchici si sono associati nella rete Rebal, ma non si è mai concretata a livello nazionale una vera collaborazione tra i diversi archivi e centri di documentazione. Una delle difficoltà consiste nella differenza di status tra gli archivi, tra quelli più strutturati e quelli meno. Purtroppo, ogni realtà si barcamena fra mille difficoltà e riuscire a tirare avanti è già un grande risultato, lo testimonia in modo eclatante la vicenda dell’Istituto Ernesto de Martino, che da Milano si è dovuto trasferire a Sesto Fiorentino. Con la Fondazione Luigi Micheletti di Bresca c’è un buon rapporto di collaborazione, con alcuni cicli di conferenze organizzate assieme, come quello dedicato al revisionismo storico, o altri cui abbiamo contribuito, come quello intitolato L’ultima rivoluzione. Figure e interpreti del Sessantotto. La Micheletti è una fondazione importante, che ha una ricchissima biblioteca, che porta avanti un progetto innovativo qual è il Museo del Lavoro, ma ciononostante – o vien da pensare: proprio per questo – il suo futuro è assai incerto. Altri significativi rapporti esistono con l’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam. Già Primo aveva ottimi rapporti con loro, almeno una volta all’anno veniva in Calusca un incaricato dell’Istituto per farsi consigliare da lui quali titoli acquisire. Ancora in merito alla sensibilità istituzionale, anche nel caso olandese la situazione è imparagonabile con quella italiana. La storia dell’Istituto di Amsterdam, che si colloca negli svolti più drammatici della “grande storia” del Novecento e ne risuona profondamente, è raccontata in un bel libro intitolato Le carte della rivoluzione, di Maria Hunink, pubblicato in Italia dalle edizioni Pantarei.

Oltre a quelle fin qui menzionate, esistono altre collaborazioni?
Sicuramente è da segnalare quella con Cesare Bermani, una delle figure più importanti della ricerca storica. Cesare è riconosciuto come l’esponente di una tradizione di ricerca basata sull’utilizzo delle fonti orali e caratterizzata da una costante attenzione all’esperienza proletaria e alle diverse forme di espressione della cultura popolare. Merita di essere segnalato un libro a lui dedicato: La libera ricerca di Cesare Bermani, pubblicato da Deriveapprodi, alla cui curatela abbiamo contribuito. In questi ultimi tempi stiamo anche dando una mano a Bermani in vista della costituzione della sua casa-archivio, un progetto che ha difficoltà a trovare aiuti. Ennesimo esempio della micragnosità delle istituzioni italiane, quando si tratti di cultura.

Dopo tanti anni di attività archivistica, avete qualche metodologia storica preferita?
Grazie alla compresenza e coabitazione con Cox 18 e con la Calusca, l’Archivio si muove fra strati temporali diversi; non solo conserva documenti ma propone letture del presente e offre materiali e riflessioni sulle forme e i terreni di lotta in vista dei movimenti a venire, che incubano nell’oggi. E questi vent’anni non sono solo serviti a catalogare libri e documenti, ma sono stati vent’anni di partecipazione a lotte, oltreché convegni, pubblicazioni e presentazioni. Il tentativo è di percorrere un doppio binario: la conservazione della memoria e la comprensione del presente, con l’ipotesi di intervenire su quanto potrà accadere, è una delle nostre principali aspirazioni. Questo, in fondo, è già un metodo di lavoro. Un esempio al riguardo può essere ricavato dall’impostazione di La pentola e i coperchi. Materiali su pentitismo, dissociazione e dintorni, che mette a disposizione una cospicua mole di informazioni, offrendo i materiali originali, dando voce ai protagonisti. Possiamo dire che, in merito al metodo di lavoro, non c’è una sintesi teorica o una elaborazione originale, ci sono una serie di questioni che ruotano intorno ai criteri di scelta della fonte storica, quale uso farne, quale tipo di materiali, tenendo sempre un portato etico ed esistenziale alla base, cioè il rifiuto di partire dall’idea secondo cui le cose sono chiuse e consumate e c’è solo da conservarne le tracce. No, ci sono ancora delle carte sul tavolo e si può continuare a farle girare.

Oltre al lavoro di documentazione, ci sono state altre collaborazioni significative?
Molte, impossibile elencarle tutte, una delle più longeve è quella con la rivista di filosofia Mille piani, diretta da Tiziana Villani, con la quale periodicamente si organizzano presentazioni e seminari. Ci sono state collaborazioni per l’allestimento di alcune grandi mostre o con riviste interessate alla grafica dei decenni passati. Frequenti sono anche le visite di studio da parte di corsisti delle Accademie di Belle Arti. Le mostre alle quali siamo invitati a collaborare attraverso il prestito di materiali – come, per esempio, Inarchiviabile, organizzata da Marco Scotini – sono sempre l’occasione per riflettere sulle modalità e il senso di questi progetti. Un’altra collaborazione è quella con le scuole, fatto apparentemente strano per un archivio, ma in realtà no, se si pensa all’interesse di Primo per la trasmissione dei saperi, per le esperienze teoriche e di lotta in campo pedagogico – come L’Erba voglio di Elvio Fachinelli. Nel 2008 contro la riforma Gelmini ci fu un importante movimento di lotta, e con alcuni dei suoi partecipanti organizzammo il Free festival delle bambine e dei bambini realizzando laboratori, giochi ed esperienze didattiche alternative. Tutte iniziative importanti anche perché hanno creato un collante con il quartiere.
La collaborazione con Colibrì edizioni di Renato Varani e con altre realtà editoriali vicine ai movimenti, come Agenzia X, Deriveapprodi, DinamoPress.
Varani è un pezzo di storia della Calusca, prima come responsabile della distribuzione Punti rossi e poi come animatore della Colibrì, una casa editrice con cui l’Archivio ha pubblicato diversi libri. Anche altre case editrici hanno con noi un forte legame, in particolare Agenzia X, i cui promotori provengono dall’esperienza di Cox 18 e coi quali esiste tutt’ora uno scambio proficuo, a iniziare dalla rassegna SlamX.

Eventi, concerti, presentazioni, convegni. Ci vorrebbe un libro solo per dare conto di tutte queste iniziative e delle forme di vita che le presuppongono.

Tenendo assieme lavoro di archivio e impegno politico si impara molto, ci si abitua a percorrere avanti e indietro archi temporali anche molto ampi e a soffermarsi su passaggi, vicende e figure anche molto diverse tra loro ma sempre dense di storia e di vissuti, tralasciando le informazioni mediatiche e ripetitive, ma prestando invece attenzione alle singolarità, ai rapporti fra esperienze, movimenti e idee. Ecco, se si riesce in quest’opera di sottrazione e scelta, si può attingere una profondità di visione in cui è più facile trovare il filo rosso che unisce eventi storicamente distanti. Quando riusciamo a compiere questo doppio movimento, le idealità che abbiamo entrano in tensione e si dinamizzano