Mezzogiorno non di fuoco. Tra le due piramidi di rara bruttezza che sfregiano piazza Castello si arrampica uno striscione. La chiamano azione, la prima di una lunga serie. Il luogo è strategico. L’Expogate è sempre circondato dal disordine sfaccendato di un’umanità che si aggira per il centro storico di un luogo che promette chissà quali sfracelli. Milano è il lunapark di ogni “evento”, che siano sedie da vendere (il salone del mobile) o l’umanità da sfamare. Quel messaggio appeso dalla Rete No Expo è rivolto a tutti, anche ai distratti, anche al blindato della polizia parcheggiato come se niente fosse. “L’Expogate che vogliamo – si legge sullo striscione – è quello per uscire da Expo”. Per sei mesi, invece, la città ci sarà dentro fino al collo. Come resistere, con quali argomenti aprire varchi di consapevolezza, come non farsi annichilire dalla retorica dell’evento super pop, questi sono i “problemi”.

Gli attivisti che a vario titolo e non solo a Milano si oppongono all’evento, un universo frammentato che per l’occasione sta cercando di rimettere insieme i pezzi, sono intenzionati a durare almeno fino al 1 novembre 2016. Dalla loro hanno solidi argomenti. Importante dunque è calibrare con intelligenza l’inizio di una lunga partita che comincia il 30 aprile con un corteo studentesco “internazionale” e prosegue il giorno successivo con la “No Expo Mayday” del primo maggio 2015, una data che da anni è sull’agendina di mezzo mondo, governi, polizie, multinazionali, associazioni e operatori della (dis)informazione.

Che MayDay sarà? Gli attivisti dicono “un corteo internazionale gioiosamente e lucidamente incazzato, ribelle, popolare che attraverserà il centro di Milano, capitale della crisi e della precarietà, ribadendo che ExpoFaMale e che noi lo sciopereremo” (si parte alle 14,30 in piazza XXIV Maggio).

Nonostante le veline dei servizi ricalcate dai giornali abbiano ipotizzato scenari apocalittici, la Rete No Expo ha già previsto i tempi supplementari: il 2 maggio azioni itineranti per la città, il giorno dopo “assemblea plenaria generale” per guardare avanti. Il tutto sotto l’occhio vigile di alcune migliaia di agenti di tutte le polizie chiamate a militarizzare la giornata inaugurale dell’Expo (sicuramente terranno d’occhio anche il campeggio al parco di Trenno allestito per accogliere i manifestanti che arriveranno da fuori). I numeri della piazza? Quest’anno è difficile fare previsioni, i più ottimisti parlano di cinquantamila persone. Difficile.

Più facile raccontare chi ci sarà. I protagonisti di quelle lotte che non riescono a tradursi in azione politica perché sono prive di rappresentanza. I precari: “Perché Expo sarà un laboratorio di nuove forme di sfruttamento e lavoro precario, culminato con l’impiego di centinaia di volontari illusi di partecipare ad un grande evento”, scrivono i militanti della Rete No Expo. Gli studenti. Gli sfrattati che da mesi lottano per la casa. I migranti. E tutti coloro che sono consapevoli che la vetrina mondiale “per nutrire il pianeta” non è altro che l’apoteosi di un modello di sviluppo che non funziona più: “Expo è debito, cemento, precarietà, spartizione, poteri speciali, mafie, corruzione economica ed ideologica. E’ una grande occasione per le multinazionali che affamano questo pianeta di rifarsi il trucco”. Sarà un corteo per tutti, molto determinato, “non esistono buoni e cattivi: esiste un percorso chiaro”.

L’altro fuori programma del primo maggio andrà in scena in piazza della Scala, come fosse sant’Ambrogio. Un presidio di protesta della Cub in occasione della prima straordinaria della Turandot. Tra gli attori protagonisti, Matteo Renzi.