Il primo caso di coronavirus nel continente africano è stato confermato ieri in Egitto. Per ora si sa solo che si tratta di un «cittadino straniero» e che non mostra sintomi, secondo il ministero della sanità egiziano. L’arrivo del virus in Africa era prevedibile e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha ricordato la priorità di dotare i sistemi sanitari più deboli dei paesi in via di sviluppo delle risorse necessarie per fronteggiare un eventuale contagio. In questo momento, 17 paesi africani sono dotati dei laboratori per verificare i casi di coronavirus.

IN CINA, dopo l’aumento improvviso aumento del 12 febbraio dovuto al cambiamento dei criteri diagnostici, il numero di nuovi casi di coronavirus è tornato a livelli paragonabili a quelli precedenti.

La situazione si differenzia notevolmente man mano che ci si allontana dall’epicentro. Nell’Hubei, la provincia di Wuhan, si concentra tuttora l’80% dei casi mondiali. Qui il numero dei nuovi casi con i criteri aggiornati basati sulle radiografie toraciche è ancora sostenuto: con quasi 5.000 nuovi casi (erano scesi sotto quota duemila con i vecchi criteri). Nel resto della Cina, dove si continua a registrare i casi con il test genetico del virus, sono stati censiti solo 267 casi, proseguendo il trend discendente iniziato il 3 febbraio.

La confusione tra i vecchi e i nuovi criteri ha spinto l’Oms a chiedere delucidazioni alla Cina. «Stiamo facendo chiarezza sulle diagnosi cliniche, per essere certi che altre malattie respiratorie come l’influenza non si mescolino nei dati sul coronavirus», ha dichiarato il direttore generale Tedros.

I NUOVI DATI danno l’impressione che la Cina voglia mostrare maggiore trasparenza. Lo conferma anche il fatto che il vice-ministro della sanità cinese ieri abbia ufficializzato un dato allarmante: i malati tra gli operatori sanitari sono ben 1716. Secondo Sylvie Briand, responsabile della risposta alle epidemie per l’Oms, il dato va attribuito alle condizioni di stress estremo in cui lavorano medici e infermieri, in cui è difficile osservare rigidamente le regole di sicurezza. Fuori dalla Cina i numeri continuano ad essere molto piccoli (1% del totale dei casi, 0,2% dei morti), con alcune situazioni locali sotto osservazione. Una è quella di Singapore, dove altri 9 casi fanno arrivare il totale delle persone contagiate a 67.

La situazione non è drammatica, perché 17 sono già guariti e solo 6 sono in condizioni serie. Ma preoccupa il fatto che dei 9 nuovi casi solo 6 appartengano a catene di contatto note, segno che nella città stato la diffusione secondaria non è sotto controllo.

L’ALTRO FOCOLAIO, il più grande fuori dalla Cina, è quello della nave da crociera Diamond Princess, dove i casi di coronavirus sono saliti a 218 su 713 persone finora controllate. 8 delle persone ammalate versano ora in condizioni gravi.

I passeggeri e l’equipaggio sulla nave dimostrano una resistenza e un’abnegazione notevole. Molti di loro stanno raccontando attraverso i social network l’esperienza a un tempo drammatica e surreale: per tenere alto il morale, la cucina di bordo non ha fatto mancare i dessert a forma di cuore per San Valentino, ma rimane la preoccupazione per la situazione sanitaria a bordo.

In Europa il conto dei casi è fermo a 44 e non ci sono novità per i 3 casi italiani (due ancora in terapia intensiva e uno in buone condizioni di salute). Ieri si è tenuto a Bruxelles il vertice dei ministri della sanità dell’Unione, che non ha adottato particolari provvedimenti per rafforzare i controlli alle frontiere. Tutti i paesi Ue, tranne la Francia, hanno già bloccato il rilascio di visti Schengen a cittadini cinesi.