Nel tracciare un primo bilancio, sul piano della diffusione del virus si registra un netto vantaggio del Mezzogiorno come di tutte le aree periferiche del mondo. Le più colpite sono le zone al centro della globalizzazione, dei processi di modernizzazione più avanzati.

Così anche sul piano economico ne uscirà meglio il Mezzogiorno perché qui la Pubblica Amministrazione ha un peso doppio, sia come contributo al Pil che all’occupazione. Anche il crollo del turismo investirà di più il Centro-Nord: su 100 stranieri che mediamente visitavano l’Italia solo l’11 per cento si recava al Sud.

Complessivamente, se si prende per buona la proiezione del Fmi, si può stimare per il 2020 un calo del Pil al Nord del 12 per cento, al Centro del 9 per cento, e nel Mezzogiorno del 7 per cento. Ovviamente, la crisi sanitaria e economica peserà diversamente per fasce sociali, territoriali e anagrafiche.

Anziani, case di cura e badanti. Nel Sud, a parte alcuni tragici esempi di diffusione della pandemia nelle case per anziani (in Sicilia in modo particolare), il fenomeno è stato circoscritto. Gli anziani rimangono spesso in casa, e con una badante nelle famiglie di ceto medio (andare in una Rsa un anziano è considerato quasi un disonore). Queste lavoratrici non possono più uscire nei giorni liberi, per incontrare altre donne, spesso della stessa nazionalità. Murate senza la possibilità di tornare nei loro paesi, vittime invisibili di questa pandemia (circa 1,2 milioni in tutta Italia).

Giovani, emigrazione, precariato. Sul piano economico i più penalizzati dal Covid-19 sono i giovani, soprattutto i precari, senza coperture assistenziali. Particolarmente in difficoltà le migliaia di stagionali presso le strutture ricettive delle località turistiche invernali del Nord (alberghi chiusi, come i B&B, e hanno il problema di un posto dove dormire, a casa non possono tornare). Anche nella stagione estiva dovranno rinunciare ai contratti stagionali perché nelle città d’arte e i luoghi di vacanza del Centro-Nord è crollato il turismo straniero. Ugualmente colpiti, al Nord come al Sud, i giovani studenti all’estero, compresi gli Erasmus.

Operai dell’industria e della grande distribuzione. E’ ormai nota, dopo le proteste operaie che hanno indotto i vertici sindacali a pressare il governo, la condizione dei lavoratori esposti ad un alto rischio anche in produzioni non essenziali. Al Sud sono rimasti in attività i petrolchimici, centrali termoelettriche e raffinerie del petrolio (in particolare in Sicilia) anche se la domanda di benzina e gasolio è crollata. E poi c’è sul tappeto la grande questione di Taranto, di cui al momento non si parla…

Essendo l’industria manifatturiera poco presente, sono soprattutto gli operai dell’edilizia ad affrontare la disoccupazione. In particolare i lavoratori in nero, stimati intorno al 30-35 per cento del totale degli addetti. Sono rimasti al lavoro i commessi e operai della Gdo (grande distribuzione organizzata), spesso senza offrire ai dipendenti una protezione sanitaria adeguata.

Immigrati. Scomparsi dalla scena politica come “grande emergenza “ , gli immigrati non sono fuggiti dall’Italia perché debbono lavorare a tutti i costi. Grazie ai Decreti (In) Sicurezza sono state trasformate in clandestini più di 400 mila persone che possono lavorare solo in nero e nemmeno muoversi dalle zone del Sud dove per la raccolta di agrumi, kiwi, ecc. Così le moderne aziende agricole del Nord rimangono senza manodopera proprio nel momento clou della raccolta della frutta e della mietitura. Gli immigrati che perdono il lavoro hanno un problema in più rispetto agli italiani.

Non possono mandare i soldi a casa, essenziali per la sopravvivenza delle loro famiglie.
Lavoro nero. Ambulanti, piccoli artigiani, manovali, muratori, millemestieri, sono ancora fortemente presenti nel Mezzogiorno e sono quelli più toccati dalla crisi perché non possono accedere ai benefici previsti dal governo. Bisognerebbe istituire un reddito di cittadinanza, senza condizionalità, aumentando l’assegno mensile e estendendolo fino alla fine dell’anno in corso. E dovrebbe essere sufficiente un’autodenuncia senza conseguenze giuridiche.

Commercio al dettaglio e zone rurali e interne. Il commercio al dettaglio, già in crisi profonda per via della concorrenza della Grande distribuzione e di Amazon, rischia adesso di fallire definitivamente. Il post-Covid-19 potrebbe farci ritornare nelle strade delle nostre città con saracinesche abbassate, luci spente, una perdita di identità che farà assomigliare i nostri centri urbani a quelli nordamericani, con un downtown, come centro commerciale e degli uffici, e il resto quartieri dormitorio.

Fanno eccezione le botteghe di generi alimentari con un boom di vendite dovuto alla preferenza dei consumatori per i piccoli esercizi alimentari di prossimità. Le zone rurali e quelle interne hanno in generale goduto di una migliore qualità della vita potendo usufruire di spazi, qualità dell’aria e dell’acqua, di beni essenziali spesso misconosciuti da questo modello di mercificazione.

Il Covid ha rappresentato una sorta di nemesi storica tra centro e periferia della globalizzazione. Ma popoli ed aree marginali pagheranno dopo, alla ripresa che si concentrerà ancora di più nelle aree più forti del mondo. Così i programmi di ricostruzione penalizzeranno il nostro Sud, come era già successo all’indomani della seconda guerra mondiale quando si decise di ripartire dal Nord. Spero di sbagliarmi, ma non vedo all’orizzonte un programma che colga l’occasione storica per un riequilibrio tra Nord e Sud che converrebbe a tutti. O quasi.