I primi duecento migranti hanno lasciato, a bordo di una nave, il molo di Lampedusa: destinazione ignota. Altre centinaia di persone – in tutto sono circa 800, tra cui anche donne e minori non accompagnati, sbarcati nel giro di 48 ore durante il fine settimana sulle coste siciliane – sono rimaste nel centro di accoglienza dell’isola, a contrada Imbriacola, la cui capienza massima è di 300 posti.

La procura di Agrigento, intanto, sta indagando contro ignoti sulla morte «per ipotermia» di due ventenni soccorsi all’alba del 30 marzo assieme ad altre 88 persone dalle motovedette della Guardia costiera. La capitaneria di porto ha tratto in salvo nel Canale di Sicilia, insieme alla nave Cassiopea della Marina militare, centinaia di profughi giunti a bordo di cinque barconi, mentre un sesto è stato soccorso dalla Marina maltese.

Le operazioni – secondo il racconto dei militari – si sono svolte a circa 80-90 miglia da Lampedusa, più vicino alle coste libiche che a quelle italiane, in condizioni proibitive, con mare forza 5 e forte vento da nordovest.
La macchina dei trasferimenti da Lampedusa – gestita da prefettura, ministero degli Interni e dall’ente gestore – si è messa in moto con molta lentezza, e anche il sindaco, Giusi Nicolini, ha dovuto sollecitare le autorità preposte a velocizzare lo svuotamento del centro d’accoglienza dove sabato erano stipate centinaia di profughi in condizioni disumane. «Il Centro – ha ricordato la sindaca – attualmente conta solamente 300 posti disponibili e non più gli oltre 800 di prima. Mi batterò affinché venga rispettata la regola della breve permanenza all’interno del Cpsa».

Giusi Nicolini ha anche disposto la sepoltura delle due vittime della traversata nel cimitero di Lampedusa, che conta già un centinaio di tombe senza nome.

Quando poi, nella mattina di Pasqua, i primi (si suppone) duecento extracomunitari sono stati imbarcati su navi dirette in Sicilia, il porto dell’isola è rimasto bloccato per ore. Nessun ingresso e nessuna uscita. E i pescatori, imbufaliti, sono rimasti fuori con i loro carichi di pesce e il lavoro di una giornata da buttare. Anche così si alza un muro tra la popolazione locale e i profughi.
Provengono dalla Nigeria, dal Sudan o dalla Somalia, ma si muovono sulla rotta dalla Libia, il Paese con cui il governo italiano – Berlusconi prima e Monti poi – ha stretto l’intesa sul controllo dei migranti nel Mediterraneo. La Libia, peraltro, non ha mai firmato gli accordi di Ginevra sulla tutela degli immigrati e dei profughi. Per l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, «nonostante il drastico calo degli arrivi via mare registrato nello scorso anno il Canale di Sicilia continua a rappresentare la via di fuga da violenze e persecuzioni».
Eppure in Italia, mai come in questo momento, lo stillicidio di morti nel Mediterraneo si compie nella completa disattenzione. Perfino ora –o tanto più ora – che l’ex portavoce dell’Unhcr è oggi terza carica dello Stato. Ovviamente, ha altro a cui pensare.