Ieri, terzo giorno di aggressione militare turca alla provincia curdo-siriana di Afrin, il segretario di Stato americano Rex Tillerson da Londra ha invocato «moderazione» a tutte «le parti coinvolte» tornando a proporre la creazione di zone cuscinetto tra Rojava e Turchia.

Mentre si contano i primi morti civili – 12 vittime nei conti dell’agenzia curda Anha, più due combattenti – ieri sera si è riunito il Consiglio di sicurezza dell’Onu per valutare la crisi di Afrin, dove le truppe corazzate turche coadiuvate da circa 5 mila miliziani anti-Assad inquadrati nell’Esercito siriano libero (Els), dopo aver conquistato le alture a ovest di Afrin, hanno iniziato l’avanzata verso Azaz, a nord di Aleppo, per impedire la formazione di un «corridoio del terrore» lungo la frontiera.

L’iniziativa dell’Onu solleciatata dal ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian è stata aspramente criticata dal presidente turco Erdogan, che pretende mano libera.

Lo sfondamento del confine siriano da parte dei turchi – il presidente siriano Bashar Assad parla di «aggressione di Ankara» alla città di Afrin – sarebbe la reazione a un piano americano, per altro sconfessato da Washington, di addestrarei miliziani curdi della coalizione anti-Isis come guardie di frontiera nella zona controllata dalle Unità di protezione del popolo (Ypg).

Gli Stati Uniti restano i principali, alleati dell’Ypg, ma dopo aver lanciato i combattenti curdi in prima linea nell’avanzata verso la conquista di Raqqa, ora li lasciano soli di fronte alle accuse di essere tout court «terroristi che minano l’unità territoriale della Turchia».

Una motivazione di «legittima difesa», ribadita da Erdogan e presa per buona dal ministro britannico Boris Johnson. Lo stesso Erdogan, insistendo sul fatto che la Turchia «non farà marcia indietro» ma «non ha mire sui territori di altri Paesi», ha aggiunto al quotidiano turco Yeni Safak, che l’iniziativa militare è stata concordata con la Russia. Del resto il primo sfondamento turco della frontiera siriana risale all’agosto 2016, per fermare la vittoriosa avanzata curda sull’Eufrate contro l’Isis.

Il Cremlino ora si limita a «osservare con molta attenzione l’andamento delle operazioni», anche se il ministro Lavrov ricorda che «il ruolo dei curdi dovrà essere garantito nel processo politico». Più dura la dichiarazione, di «estrema preoccupazione», espressa da Federica Mogherini a nome della Ue, preoccupata sia dal lato umanitario, sia per il rischio di ripercussioni sulla ripresa dei negoziati a Ginevra. Ma è dall’Egitto – e dai paesi del Golfo – che viene la condanna dell’avanzata turca. Il Cairo parla esplicitamente di «violazione della sovranità» della Siria.

Un riposizionamento, anche questo dell’asse sunnita, da leggere in chiave spartitoria sul futuro dopoguerra.