Le primarie presidenziali Usa oggi transitano dal Michigan – ed è un passaggio che potrebbe essere determinante e assai significativo dell’evoluzione politica di una campagna  “epocale”.  Repubblicani e democratici votano oggi nel cuore del Rust belt, il settore del paese devastato più di ogni altro dalla crisi produttiva e dalla deindustrializzazione.

Qui Trump fa appello al proprio zoccolo duro di “uomini bianchi arrabbiati”, il centrista Kasich che qui rappresenta il principale avversario proverà un’estrema resistenza “regionale” in quanto governatore del vicino Ohio, stato  dalle paragonabili caratteristiche socioeconomiche. L’integralista Cruz tenterà di dimostrare che il principio di “rimonta” imbastita con le vittorie di sabato in Kansas e in Maine non era casuale; Marco Rubio cercherà di non rimanere distaccato prima in attesa che il calendario arrivi in Florida e l’ultima chance nello “stato di casa”.

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Per Clinton e Sanders il confronto è ancora più cruciale dato che si svolge nell’ex hinterland industriale, già affidabile fabbrica di voti democratici ma oggi crocevia delle pulsioni che stanno scardinando l’ordine costituito e I tradizionali equilibri ideologici. All’ombra delle fabbriche arrugginite del Midwest si legano infatti molti anelli di congiunzione fra la frustrazione working class, l’antagonismo anti immigrati, la rabbia contro la casta e l’allergia al politically correct – la paura e il disgusto cioè che alimentano il moto populista, cooptato da Trump ma con chiari riflessi bipartisan (nel senso che raccolgono la ripugnanza  per entrambi i partiti).

E per quanto non si debba generalizzare, esistono evidenti sovrapposizioni fra le affermazioni sia di Sanders che di  Trump che vengono recepite da  fette consistenti di elettorato analogamente insofferenti verso un sistema che li ha sistematicamente esclusi. Mentre Trump ripete berlusconianamente che in quanto ricco lui è incorruttibile, la sua affermazione di essere al di sopra delle lobbies che finanziano gli avversari ha un nocciolo di verità simile a quello per cui Sanders, interamente finanziato da piccoli contribuenti, sottolinea di non essere indebitato come Hillary con grandi “benefattori” corporativi come la Goldman Sachs e altri vecchi “amici di famiglia”. E se la narrazione di Trump sulle aziende “rubate” da Cinesi e Messicani è palesemente risibile (detta da uno che ha una linea di abbigliamento made in Cina poi….), quando promette di punire gli esportatori di lavoro con maxitariffe, fa appello alla stessa indignazione che acclama Bernie e il suo piano di far ripagare tutti i sussidi pubblici alle aziende che delocalizzano il lavoro.

Paralleli che hanno ispirato anche una lettera aperta  pubblicata ieri dal Huffington Post  ai “supporter non razzisti di Donald Trump”. Il foglio elettronico di Arianna Huffington aveva dapprima relegato polemicamente la copertura della campagna Trump alle pagine dello spettacolo. In seguito ha preso ad appendere ad ogni articolo su di lui la dicitura: “Donald Trump è un bugiardo seriale,  xenofobo congenito e razzista”. Ma il corsivo ora “apre” alla rabbia delle fasce “antipolitiche” che non sopportano più un duopolio che ignora i loro bisogni e favorisce una diseguaglianza sempre più insostenibile. “Per decenni amministrazioni di entrambi i partiti hanno presieduto  all’export di milioni di posti di lavoro,” scrivono Ryan Grim e Julia Craven della redazione politica di HuffPost. “Mentre i ricchi continuano ad arricchirsi e il costo della vita continua a salire”. Pur chiedendo ai sostenitori di Trump di dissociarsi dalle sue esternazioni più xenofobe e razziste, i due riconoscono perfino lo sconcerto culturale provocato dalla correttezza politica per cui “dire ciò che pensavano i vostri nonni o genitori oggi è un campo minato”.

 

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Per Sanders il Michigan rappresenta quindi in parte un banco di prova per sperimentare un messaggio che faccia appello ad un proletariato esautorato senza le sovrastrutture retrograde del trumpismo. È cosa nota ad esempio che segmenti importanti della base sindacale subiscono il fascino indiscreto degli anatemi di Trump. Per la sinistra le primarie del Rust belt sono quindi anche un esame di rilevanza politica. L’ultimo dibattito repubblicano si è svolto a Detroit, la capitale della deindustrializzazione, capoluogo fantasma di un ex potenza metalmeccanica: la maggiore città americana a dichiarare bancarotta. Ma per come è quasi subito degenerato in baruffa sulla virilità dei candidati, avrebbe potuto svolgersi anche su Marte.

Domenica anche l’ultimo dibattito  democratico si è tenuto in Michigan, a Flint, attualmente al centro di una drammatica emergenza di salute pubblica. Una modifica all’approvigionamento idrico della settima città dello stato ha fornito per due anni alla cittadinanza acqua contaminata dal piombo, provocando un avvelenamento di massa con danni irreversibili soprattutto nei bambini, centinaia, forse migliaia dei quali potrebbero aver riportato danni irreparabili alle capacità cognitive. “È raro che una campagna presidenziale transiti da un luogo così emarginato” ha dichiarato via twitter Michael Moore che aveva reso tristemente celebre la propria città d’origine in Roger & Me. “Ma che i candidati si rivolgano ad una platea intossicata è senza precedenti”. La scelta di Flint è dunque stata assai significativa per la volontà di confrontare direttamente le vittime di un malgoverno di tante province eviscerate ed abbandonate dal capitalismo di era globalista.

 

Flintwater

Le dimensioni del disastro a Flint sono drammatiche: 100 mila abitanti (e altri 300 mila nella provincia circostante) per oltre un anno sono stati avvelenati dall’acqua comunale. Flint è la patria della General Motors, il luogo di nascita della Buick e della Chevrolet, nonché della Uaw  (United auto workers), ma la chiusura delle fabbriche che avevano sostenuto la comunità per oltre un secolo hanno determinato, come nella vicina Detroit, un endemica disoccupazione, il tracollo delle finanze pubbliche e la bancarotta.  Il fallimento di Flint ha portato  al commissariamento dell’amministrazione. I nuovi  amministratori nominati dal governatore repubblicano sono arrivati con l’unico mandato di tagliare ulteriormente una spesa pubblica già all’osso. E fra le iniziative di risparmio, ci fu nel 2014 quella di modificare l’approvvigionamento idrico cittadino utilizzando le acque inquinate del Flint River che attraversa la città. I cittadini intossicati contemplano ora le rovine fumanti della propria città sullo sfondo della  “spettacolare” ripresa  del settore automobilistico che l’aveva abbandonata e che grazie al bailout pubblico del 2009 (quello che ha permesso a Marchionne di acquisire la Chrysler) è tornata a livelli di vendite record.

Davanti a questa platea avvelenata, in maggioranza afro americana in una città in cui il 40% degli abitanti vive sotto la soglia di povertà, il confronto fra Hillary Clinton e Bernie Sanders è avvenuto principalmente proprio su quell’intervento che Hillary ha rivendicato come necessario e che Sanders ha denunciato come ennesimo regalo all’industria “ed ai tuoi amici di Wall street”, come ha detto rivolto alla rivale.  Un colpo assestato alla Clinton a cui Sanders da tempo chiede di rendere pubblico il discorso fatto all’assemblea della Goldman Sachs a fronte di un compenso di $250.000.

Non è certo però che Bernie avrà il tempo tempo per modificare la narrazione che vede per ora sindacati e dirigenti di partito perlopiù schierati con la Clinton. E per articolare un messaggio diverso dalla solita retorica elettorale, abbastanza diverso da risultare credibile da una base abbandonata a se stessa. Per formulare cioè un progetto alternativo capace di ridare forza vincente ad una critica da sinistra capace di motivare un elettorato abbastanza disilluso da lasciarsi sedurre dall’opportunismo populista di Trump.