La rivolta parte dalla minoranza ma via via nel Pd si espande a macchia d’olio. Così l’idea di inserire nel regolamento delle primarie un «cavillo anti-Bassolino» alla fine si trasforma in una figuraccia. L’avevano lanciata in stereofonia i due vice di Renzi Guerini e Serracchiani, rispettivamente dalle colonne di Stampa e di Repubblica: una norma in base alla quale chi ha già fatto il sindaco per due mandati «deve lasciare il testimone ad altri», insomma non può candidarsi. Con tutta evidenza è una scomposta stoppata al ritorno sulla scena di Antonio Bassolino a Napoli. Ma già che c’è tornerebbe utile anche a Roma contro Ignazio Marino. L’ex sindaco proprio ieri ha ribadito la sua irrefrenabile volontà di rilanciarsi nel corso di una pirotecnica iniziativa del Pd al quartiere San Basilio.

Ma il «cavillo» fantasioso, che per esempio nel 2008 avrebbe impedito a Francesco Rutelli di correre a Roma (lo twitta Chiara Geloni, ex portavoce di Bersani) crea subito malumori. Intanto nella minoranza Pd. Nico Stumpo tuona contro i «raggiri burocratici» e la «decurtazione delle libertà personali». Roberto Speranza spiega che «i problemi politici si affrontano con la politica, non cambiando le regole». Da Napoli il no arriva naturalmente dall’interessato Bassolino, ma anche dal suo avversario storico Umberto Ranieri, possibile sfidante. Il migliorista alla notizia della corsa dell’ex sindaco aveva dichiarato «abbiamo già dato». Invece ora davanti a un cavillo così sfrontato parla nobilmente di «inaccettabili discriminazioni» contro il suo non amico. La giovane turca Valeria Valente parla di «ipotesi che lascia esterrefatti» avanzata con «una leggerezza che non ci si aspetterebbe da chi riveste un ruolo tanto significativo». Ma se è vero che anche per molti renziani il ’cavillo’ è indifendibile, è pure vero che la proposta dei due vice non è una «leggerezza» estemporanea ma un modo per tastare il polso al partito. Ora il polso è tastato. E dice febbre alta.

Il caso si chiude in serata quando Renzi plana al Nazareno dove intanto si sta svolgendo la direzione del Pd. Il segretario arriva in ritardo perché è andato – doverosamente – a Venezia alla camera ardente di Valeria Solesin, la ragazza italiana uccisa al Bataclan di Parigi. E poi a Ravenna, a rendere omaggio a Enrico Liverani, candidato sindaco del Pd stroncato da un malore venerdì scorso mentre tornava da una fiaccolata per la pace.

Renzi fa in tempo ad ascoltare il finale della discussione cautamente perimetrata dal presidente Matteo Orfini ai soli temi «della politica estera» con l’evidente intento di non aprire il vaso di pandora delle amministrative. Renzi però invece di amministrative parla, eccome. Prima chiede «una moratoria sulle primarie fino a gennaio». Ma la moratoria non riguarda il segretario, evidentemente. Che infatti di seguito aggiunge: «Propongo di discutere fino al 10-15 gennaio di elezioni amministrative e anche della questione delle primarie ma proporrei il 20 marzo come data nazionale per fare le primarie».

La data è già circolata negli scorsi giorni. E ha già provocato il mal di pancia al centrosinistra milanese. Nel capoluogo lombardo, si aspetta la decisione di Giuseppe Sala. Ma le primarie sono già fissate per il 7 febbraio. Rimandarle, dice il candidato Pier Francesco Majorino, è «una epocale cazzata. Penso che a Roma non siano tanto stupidi, faremmo un favore alla destra. Non capisco perché perdere tempo. Se poi invece ci sono città che hanno bisogno di più tempo, quelle città siano aiutate da Roma». Neanche il sindaco Giuliano Pisapia gradisce: la data delle primarie si potrà anche modificare «se siamo tutti d’accordo», spiega durante la presentazione del libro A fattor comune del vendoliano Massimiliano Smeriglio. E però «c’è una grande differenza fra le primarie del Pd, che è legittimo e giusto che il Pd decida come e quando farle, e le primarie di coalizione che sono quelle di Milano». Poi, rivolto al rappresentante di Sel: «Sel deve decidere in fretta quale gioco vuole giocare».

Al netto dei tormenti di Sel, è evidente che la data delle primarie invece l’ha già decisa Renzi. Al centrosinistra milanese non resta che adeguarsi. Ed è spostata in avanti perché il Nazareno ha bisogno di tempo. In molte città. Per evitare il disastro. Le amministrative sono a giugno, ma le nuvole nere della bufera sono già sul cielo e Renzi vuole darsi il fiato per spazzarle, ammesso che sia possibile. Se a Milano un po’ di tempo in più aiuterà la campagna di Sala, a Roma il tempo serve per tentare la mission impossible di trovare un candidato in grado di arrivare al ballottaggio, con Marino in campo e la sinistra autonoma. Per non parlare di Napoli. La sciagurata e di fatto ritirata norma anti-Bassolino ha reso lampante l’intenzione del ’Viceré’ di correre comunque. Nel caso, anche fuori dal Pd.