Sarà per stimolare una presa di coscienza dal basso e per far circolare un po’ d’aria fresca nelle stanze della politica che il centrosinistra milanese ha deciso di aprire un dibattito su una questione stimolante per gli elettori: c’è chi vuol far slittare la data delle primarie dal 7 al 28 febbraio, e chi invece non ha intenzione di cedere di un minuto. E sono spaccature. Questo è il nodo che i partiti della coalizione della mitica esperienza Pisapia oggi sono chiamati a sciogliere durante un incontro tormentato.

La decisione di rinviarle è stata presa dai renziani della segreteria metropolitana del Pd, cioè dai titolari stessi delle primarie che in quanto tali stanno cercando di ritagliarsele su misura, spaventati come sono di lasciarci le penne. A cosa dovrebbero servire tre settimane in più? A favorire il quasi candidato Giuseppe Sala, il manager targato Expo che sta decidendo se partecipare a una competizione in cui ha tutto da perdere. Si dice che avrebbe intenzione di rilassarsi con un lungo viaggio in Patagonia e che con qualche settimana in più potrebbe raccogliere con agio le 2 mila firme necessarie per presentare la sua candidatura.

Il rinvio non piace al candidato assessore Pierfrancesco Majorino (Pd, sostenuto da Sel) e lascia indifferente l’altro candidato del Pd Emanuele Fiano. “Sinceramente – ha scritto su Facebook Majorino – non capisco il senso di questa scelta. Non sono tre settimane in più o in meno a far vincere un candidato, mentre abbiamo bisogno tutti di tempo per fare una campagna elettorale del centrosinistra unitaria, nei quartieri, consumandoci le suole. Perché l’avversario, lo ricordo, è la destra”. Il messaggio è rivolto al suo partito che ormai non lo sopporta più: “Datevi una mossa”.

Pierfrancesco Majorino scalpita per le primarie perché, paradossalmente, la sua candidatura oggi è più forte di prima. La colpa, o il merito, è proprio l’eventuale candidatura del manager unico per l’Expo che infatti non esiterebbe un minuto a dare l’ok se la sua candidatura non rischiasse di rimanere intrappolata nelle primarie. Matteo Renzi le abolirebbe piuttosto che bruciare il suo asso nella manica, ma a Milano un colpo di mano di questo tipo risulterebbe catastrofico in vista delle elezioni che contano, quelle di Palazzo Marino. Ma dover fare le primarie significa soprattutto una cosa per il partito della nazione: rischiare di perderle. E’ successo ovunque, è successo anche nel 2011 con Giuliano Pisapia. E potrebbe succedere ancora perché in una competizione cui partecipa una percentuale molto bassa di cittadini è più avvantaggiato il candidato che può contare sull’apporto di una militanza più o meno rodata, e Majorino è sostenuto da Sel e da tutti coloro che ancora credono alla continuità con una esperienza ormai tramontata. Potrebbe bastare per battere il manager a cui non interessano destra e sinistra.

Nella palude in cui si è impantanata la “rivoluzione arancione” rischia tutto anche Sel che ha puntato su Majorino aggrappandosi alle primarie del Pd per continuare ad esistere, anche se in altre città è in corso il processo di emancipazione da un partito che non ha più nulla a che fare con la sinistra. Posizione doppiamente imbarazzante. La domanda è: cosa farà Sel qualora Sala dovesse vincere le primarie? Sostenerlo vorrebbe dire suicidarsi politicamente nonostante un paio di probabili posti a sedere. E tradire il patto delle primarie a tempo scaduto, tentando di riunire pezzi di sinistra già fuori dalla competizione con cui il dialogo è interrotto, potrebbe essere ancora più difficile da spiegare a un elettorato già irritato. Come la fa, la sbaglia.