Le primarie del centrosinistra con un Pd che fino a una settimana sfotteva la «sinistra rissosa» sono un’ipotesi irrealistica, il classico ballon d’essai delle fasi politiche di stallo. Ma tanto poco basta per rialzare il termometro nella sinistra che fino a tre giorni fa tendeva all’unità, complice un incombente sbarramento al 5 % nella legge elettorale ormai spazzato via dall’orizzonte.

Per il terzo giorno consecutivo ieri Renzi, stavolta dal Corriere della sera, ha lanciato un amo a Giuliano Pisapia, leader di Campo progressista: «Noi ci siamo. Vediamo che farà lui». Il segretario Pd spiega meglio la sua idea di accordi a sinistra a legge vigente: un patto al senato, ma non alla camera, dove tanto è convinto di imbroccare l’onda del voto utile perché «il premio al 40% consente di tentare l’operazione maggioritaria». L’ex premier non risponde alle condizioni che Pisapia pone per riaprire il dialogo: primarie di coalizione, cancellazione dell’articolo 18, discontinuità. A questo dibattito manca il principio di realtà. Lo ricorda il presidente dem Matteo Orfini a Repubblica, che «c’è una legge proporzionale che non prevede coalizioni e quindi le primarie non avrebbero senso», dunque benvenga Pisapia in coalizione ma dopo il voto se avrà i numeri, «con questo sistema elettorale oguno tessa la sua tela e poi ci ritroveremo in parlamento in base al consenso che i cittadini ci daranno».

Ma questi giri di valzer comiminciano a suscitare malumori a sinistra, fra gli stessi alleati di Pisapia che il primo luglio hanno con lui un appuntamento a Roma per costruire «la casa comune» della sinistra. Bersani, D’Alema, Rossi, cioè tutta la «Ditta» ex Pd non hanno alcuna intenzione di allearsi con il proprio ex partito. Ampiamente ricambiati: Renzi spiega alcuni di loro farebbero fatica «anche a tornare alle feste dell’Unità».

Le polemiche non sono dirette, almeno per ora. Massimo Paolucci, europarlamentare vicinissimo a D’Alema, spiega che la proposta di Renzi a Pisapia è «una polpetta avvelenata», «Non esistono le condizioni minime per svolgere insieme al Pdr le primarie di coalizione. Senza una chiara alleanza politica, un simbolo ed una piattaforma comune sarebbe una grave errore, una decisione incomprensibile per milioni di nostri elettori delusi dalle scelte fatte, in questi anni, su tasse, lavoro, scuola, politiche sociali, investimenti». Il presidente della Toscana Enrico Rossi: «Le primarie di coalizione hanno poco senso perché la storia del sindaco d’Italia è finita il 4 dicembre 2016. Noi dobbiamo costruire un’alleanza per il cambiamento a sinistra del Pd fatta da coloro che, di sinistra e di centrosinistra, non si riconoscono più nel Pd di Renzi».

Enrico Rossi si rivolge al lato politico dove si collocano Sinistra italiana e Rifondazione comunista, e offre una lista unitaria, anche con i civici ex no che si vedranno a Roma il 18 giugno. Sorvolando sul fatto che difficilmente queste aree apprezzerebbero – anzi digerirebbero – la benedizione degli ulivisti Prodi, Letta, Bindi, così tanto invocata da Mdp.

Anche Pisapia evita la polemica interna. Ma dai suoi arrivare segnali di insofferenza: «Dobbiamo investire sulla riapertura di una nuova stagione di centrosinistra in discontinuità con questi anni. Aggiungo che oggi, per ragioni tutte giuste, governiamo, da una posizione di leggera subalternità, con Renzi e persino con Alfano».