Alle primarie romane si vedrà non tanto il chi ma piuttosto il quanto. Non dovrebbero esserci sorprese sulla vittoria di Roberto Gualtieri, ma a fare la differenza, sul tasso qualitativo di investimento politico e sul peso della mobilitazione in vista del voto d’autunno, sarà il numero dei votanti.

L’OBIETTIVO MINIMO è superare la soglia dei 47 mila elettori che si recarono ai gazebo nel 2016 per scegliere Roberto Giachetti, poi sconfitto al ballottaggio da Virginia Raggi. Asticella piuttosto alta, se si considera che i pre-iscritti al voto prima dell’apertura delle operazioni erano solo 3 mila. Il rischio che comporterebbe un flop appare evidente guardando a Torino, dove la scorsa settimana soltanto in 11 mila hanno partecipato alle primarie vinte da Stefano Lo Russo. Ne è venuto fuori un candidato debole, tanto che nel capoluogo piemontese adesso si parla addirittura di un clamoroso dietrofront di Chiara Appendino, la sindaca uscente che aveva annunciato di non volersi ricandidare.

UN BEL PROBLEMA per il Pd e per il centrosinistra, che a Roma non intende farsi logorare da ulteriori incertezze o restare gelato da un’incoronazione senza popolo. Ecco il motivo dell’appello che da Enrico Letta in giù coinvolge tutti i maggiorenti del partito e che invita per domani, dalle 8 alle 21, tutti i residenti a Roma che abbiamo compiuto 16 anni ad andare presso uno dei circa 200 gazebo allestiti per l’occasione versando i 2 euro di sottoscrizione. Il voto questa volta si potrà esprimere anche online, registrandosi e versando l’obolo tramite carta di credito.

IERI GUALTIERI ha incassato l’endorsement di Andrea Orlando, che significativamente contrappone l’ex ministro dell’economia alle destre ignorando la presenza di Raggi: «Mi auguro che tutti lo sostengano e che il consenso sia il più ampio possibile, prima alle primarie e poi nelle elezioni che lo vedranno in competizione con le forze di destra». Con Gualtieri si schierano anche il leader di Articolo 1 e ministro della salute Roberto Speranza, il ministro della difesa Lorenzo Guerini e il presidente del parlamento europeo David Sassoli.

È SOSTENUTO da Ignazio Marino, il sindaco che venne cacciato dagli eletti del suo stesso partito con le firme dal notaio spalancando la strada alla vittoria di Raggi, l’urbanista e attuale presidente del municipio III Giovanni Caudo. «Sono l’uomo giusto perché Roma ha bisogno da più di venti anni di scelte radicali – è l’appello di Caudo – Non basta un sindaco, c’è bisogno di cambiare lo schema e il riferimento politico entro cui il sindaco agisce». E poi c’è Imma Battaglia, che era consigliera comunale con Sel quando venne fatto cadere Marino. Battaglia insiste sulla natura collegiale della sua candidatura. Si vota anche per scegliere i candidati alla presidenza dei municipi romani e Battaglia ha chiuso la sua campagna a Largo Spartaco, al Tuscolano, con gli aspiranti alla carica sostenuti dalla coalizione Liberare Roma. Gli altri candidati sono Stefano Fassina di SinistraPerRoma, il centrista con un occhio al sociale Paolo Ciani, poi Tobia Zevi e Cristina Grancio, una delle consigliere comunali uscite dal M5S che oggi corre sotto le insegne del Partito socialista.

LA VIGILIA delle primarie per il Campidoglio coincide anche il quinto anniversario della vittoria elettorale di Virginia Raggi. Il 19 giugno del 2016 la sindaca del Movimento 5 Stelle iniziava il suo cammino, conquistando una maggioranza monolocore in consiglio comunale che non aveva precedenti nella storia repubblicana dell’amministrazione capitolina. Era il tempo in cui poteva consentirsi di annunciare «il tempo sta cambiando». Adesso Raggi, tra defezioni ed espulsioni, si ritrova in minoranza ormai da qualche settimana. Un sondaggio Swg la darebbe addirittura quarta, dopo il candidato della destra Enrico Michetti, Roberto Gualtieri e Carlo Calenda. Ma sono dati che che vanno presi con le pinze, anche per il fatto che il leader di Azione è il committente de rilevamento.

L’ADDIO PIÙ VISTOSO che ha dovuto subire la maggioranza che sostiene la sindaca è forse quello del presidente del consiglio comunale Marcello De Vito, uno dei kingmaker del grillismo romano oltre che candidato più votato, passato a Forza Italia. Ma Raggi è in corsa, ha il vantaggio di giocarsi le ultime carte da sindaco in carica oltre a quello di avere cominciato la sua campagna elettorale prima di tutti gli altri. Trae forza dalla confusione delle proposte in campo e dalle difficoltà sia del centrodestra a trovare un nome e quelle del centrosinistra a trovare una sintesi. Dopo le primarie, forse, tutto almeno sarà più chiaro.