La pentola a pressione della sinistra romana, che da mesi fischiava forte, è esplosa il 2 gennaio quando Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario del Pd della Capitale, dal manifesto ha invitato il candidato Stefano Fassina «a misurarsi nelle primarie di coalizione». Mission impossible: un fatto escluso dall’inizio dal deputato di Sinistra italiana, ex Pd su posizioni molto antirenziane, che da un mese batte palmo a palmo la città dichiarandosi «alternativo al Pd».
Ma Orfini sa bene che nel partito di Vendola c’è chi invece lo ascolta. Sono molte le anime in pena a causa della rottura delle alleanza in vista delle comunali di giugno. Per lo più amministratori, eletti grazie alla coalizione ed ora destinati a tornare a casa.

Ma sarebbe sbagliato declinare la vicenda come la solita questione di poltrone. Almeno non solo. Il dibattito sulle amministrative, a Roma come ovunque, si intreccia con il parallelo travaglio del nuovo partito della sinistra. Dopo un primo tentativo unitario da cui Civati si è subito smarcato, Sel ha rotto anche con il Prc ’colpevole’ di non volersi sciogliere nel nuovo soggetto. Gli altri protagonisti (Altra europa e associazioni) decideranno come schierarsi. Ma a sua volta dentro Sel le differenze sono ormai venute alla luce: da una parte Nicola Fratoianni, deputato, coordinatore, ex assessore in Puglia ma anche ex ’tuta bianca’ di Genova e oggi ultrà dell’autonomia dal Pd. Dall’altra amministratori del calibro di Pisapia a Milano, Doria a Genova, Zedda a Cagliari, Smeriglio alla regione Lazio, numero due di Zingaretti.

fassina tor pignattara 2015 foto lapresse

Mai dire scissione, naturalmente. Ma il travaglio ormai ha investito come un ciclone il fianco sinistro della Capitale. E non solo. A Roma la sinistra, se non portasse a casa un risultato molto importante, sarebbe costretta a ritirarsi da molte postazioni, dalla Regione (l’avvertimento del Pd è stato esplicito) al futuro Campidoglio e ai futuri municipi. A Milano Sel parteciperà alle primarie al fianco di Francesca Balzani, candidata considerata erede di Pisapia, contro le indicazioni della segreteria nazionale. E, in caso di sconfitta, sosterrà il renziano Giuseppe Sala. Nel capoluogo lombardo l’11 gennaio si svolgerà un’assemblea con Pisapia, Balzani, Majorino (l’altro candidato della sinistra alle primarie). A Roma, dove il candidato è Fassina, la sfida si svolge a colpi di opposte assemblee: il 7 gennaio i presidenti di municipio incontreranno l’ex Pd per esprimere il loro appoggio alla corsa. Ma il 23 gennaio al Brancaccio si terrà l’assemblea del «centrosinistra municipale»: amministratori di Sel e del Pd lanceranno un appello per restare uniti. O per evitare, come dice l’ex consigliere capitolino Gianluca Peciola, «scenari brutali» come quello di «un sindaco post fascista con un vice leghista» o quello «di un sindaco grillino». Gli fa eco Marco Miccoli, deputato dem romano, «l’unica possibilità che ha il centrosinistra per vincere è presentarsi unito. È insufficiente sia la candidatura di Fassina, sia quella di un Pd che pensa all’autosufficienza».

E qui torniamo a Fassina. In queste ore ha incassato il sostegno totale di Nicola Fratoianni e del ccoordinatore della Sel romana, Paolo Cento (ne leggete l’intervista nella pagina accanto). Ma non è ormai un mistero che nella Sel «coalizionista» il suo protagonismo, tanto a Roma quanto sul futuro soggetto nazionale(di cui è considerato uno dei leader naturali) preoccupa: preoccupa – sono le voci che si raccolgono a taccuini chiusi- un comitato elettorale sbilanciato sulla sinistra-sinistra e una volontà di «separazione consensuale» dal Pd che ricorda, a detta dei pentiti di oggi, quella di Bertinotti verso il Pd veltroniano, alle politiche del 2008: e cioè dell’annus horribilis della sinistra asfaltata e fuori dal parlamento.

L’Italicum ha già ottenuto l’effetto di escludere la possibilità di alleanza alle politiche. Alle comunali un po’ ovunque la coalizione è franata in coincidenza con la start up del nuovo soggetto, fissata per metà febbraio. Un nuovo soggetto che di fatto sancirà la fine dell’idea stessa di coalizione con il centrosinistra, almeno quello renziano.

Mai dire scissione, giurano tutti. Ma un anno fa il Pd ha già incamerato una decina di parlamentari di Sel. Puntare a una nuova frattura a sinistra per drenare una parte dell’elettorato e rinforzare un consenso in picchiata, in giro per le città, sarebbe vitale. Nichi Vendola, da sempre il punto di equilibrio del partito, in questi giorni ha deciso di non stare in prima linea e mandare avanti gli uomini (più che le donne) più vicini. Ma la sintesi stavolta non si trova. Martedì 12 gennaio riunirà la segreteria: la scissione non è all’ordine del giorno, ma molto difficile che non sarà una resa dei conti.