Sulla data delle primarie è pax democratica, o quasi. Ieri una lunga riunione della commissione che sembrava destinata a finire in gloria ha trovato l’accordo in extremis: le primarie del Pd si terranno il 30 aprile, che non è luglio come proponeva Gianni Cuperlo (che infatti alla fine vota no al dispositivo), ma neanche il 9 aprile che i renziani hanno tentato fino all’ultimo di portare a casa. Ed è anche una settimana più tardi di quel 23 aprile che sembrava essere l’ultima concessione degli uomini del segretario. La disputa del calendario nascondeva, e neanche troppo, la questione fondamentale della durata del governo Gentiloni.

Il voto anticipato a giugno esce definitivamente di scena, dunque. Lo sottolinea con attenzione – c’è lo streaming, è sempre meglio essere chiari – Piero Fassino: «Questo calendario trancia la discussione, non c’è più tempo», ora sarà chiaro che il governo Gentiloni ha un carattere «non transitorio e non temporaneo». «È prevalso il buon senso», sospira Cesare Damiano, schierato con Orlando. Ma è un sospiro di sollievo che tirano anche molti parlamentari che formalmente aderiscono alla maggioranza Pd. Va detto al Nazareno non tutti la vedono così: «I tempi tecnici in teoria ci sono ancora», ma sarebbero così stretti da rendere necessaria un crisi di governo in piene primarie. La data del 30 aprile butta acqua sul fuoco nei conflitti interni al Pd. Ma scatena l’ironia dei 5 stelle: «Il Pd ha appena annunciato le ’primarie per la pensione’ impedendo il voto a giugno per arrivare almeno a settembre. Miserabili», attacca il vicepresidente della camera Luigi Di Maio.

Finisce win win, dunque, il braccio di ferro fra Renzi (contumace, dalla Silicon Valley dov’è in viaggio-studio tornerà domani) e gli sfidanti Michele Emiliano e Andrea Orlando. Renzi porta a casa un congresso comunque a tappe forzate disegnato apposta per lui, e il voto quasi all’unanimità della direzione (che aspetta due ore che i commissari si mettano d’accordo). L’ex segretario smette di essere «divisivo», almeno per un giorno. «Visto? Non c’è stata nessuna forzatura, nessuna corsa, anzi. Il congresso durerà così un mese di più», commenta via sms l’ex segretario con i suoi. Dalla Sicilia Orlando fa buon viso: «Nelle condizioni date è una scelta giusta». Il candidato riapre anche un vecchio fronte, quello della «separazione delle carriere» fra premier e segretario: «Io, per i limiti che mi riconosco, non sarei in grado di fare le due cose contemporaneamente. Penso sia giusto pensare ad altre figure in grado non solo di guidare il governo, ma anche di tenere insieme la coalizione». È una scelta politica in continuità con quella di Gianni Cuperlo. Ma la modifica dello statuto del Pd non è all’ordine del giorno.

Un «contentino» all’indirizzo del guardasigilli arriva dalla proposta di Roberto Morassut in commissione, poi approvata da tutti: l’inclusione di una versione ultra light della «conferenza programmatica» da lui proposta – e bocciata dall’assemblea nazionale – nella road map del congresso. Lo annuncia Guerini: «Le convenzioni provinciali si terranno il 5 aprile, la convenzione nazionale il 9 aprile e questo appuntamento sarà un’occasione per un approfondimento programmatico che vada oltre la presentazione delle candidature». Un gesto di cortesia formale. Infatti nell’agenda di Orlando resta la «sua» conferenza programmatica, che sarà convocata nei prossimi giorni a Napoli.

Renzi, per mano dell’instancabile mediatore Lorenzo Guerini, vince senza sconti sulla data della chiusura del tesseramento, che resta il 28 febbraio. In direzione il braccio destro di Michele Emiliano Francesco Boccia denuncia «la forzatura» e chiede una «riflessione seria». Ma senza successo.

Al presidente pugliese avrebbe fatto gioco qualche giorno in più per rafforzare il tesseramento dei suoi, ma se ne dovrà fare una ragione. Comunque le primarie restano «aperte»: per votare ai gazebo basterà dichiararsi elettore del Pd e pagare 2 euro. Il nuovo segretario del Pd, e cioè quasi certamente il ’vecchio’ – Renzi insomma – verrà proclamato dall’assemblea convocata per il 7 maggio. Se i gazebo gli dovessero fare lo scherzetto di non tributargli almeno il 50 per cento dei consensi, l’assemblea potrebbe contenere qualche colpo di scena, per sempio l’alleanza ’contro’ dei due perdenti. Ma sono eventualità teoriche e improbabili.

Il nuovo segretario avrà anche il tempo di firmare le liste e le alleanze per le amministrative, il cui termine scade l’11 maggio. Ma andranno organizzate prima, in piena campagna gazebaria, e qualche baruffa è una profezia fin troppo facile. La direzione scivola via senza intoppi. Il regolamento è un papello poggiato sul banco della direzione. Scritto, rassicura Guerini, «in sostanziale conformità con quello precedente». L’emiliano Massimo Iotti, che come tutti è stato convocato in fretta solo 22 ore prima della direzione, nel suo piccolo si irrita: «Leggere il regolamento prima di votarlo non sarebbe male». Anche Roberto Giachetti dalla platea si agita. Il reggente Matteo Orfini si spazientisce: «Se qualcuno ha piacere di leggerlo prima di votarlo, il regolamento sta qui». Non si alza nessuno, si vota, finisce con 104 sì, 2 astenuti e 3 no.