10.228 seggi elettorali, 80mila volontari per controllarsi a vicenda che non ci siano brogli, sette candidati della destra e del centro che si sfidano per il primo turno delle primarie, da cui uscirà, al ballottaggio del 27 novembre, molto probabilmente il nome del prossimo presidente della Repubblica francese (visto lo stato della sinistra, che potrebbe persino non essere al secondo turno la prossima primavera, scavalcata da Marine Le Pen). La principale incognita di oggi è su chi andrà a votare e quanti andranno alle urne, a pagare 2 euro e a firmare una “carta dei valori” di adesione alle idee della destra repubblicana. Per questo, i sondaggi sono incerti.

Alain Juppé, ex primo ministro dei tempi di Chirac, parte favorito, ma nelle ultime settimane sembra aver perso terreno: molto dipenderà se parteciperanno al voto gli elettori del centro e anche “i delusi di Hollande”, a cui ha fatto appello, con una campagna basata sulla ragione e la riconciliazione. A sinistra, qualcuno deciderà di votare per Juppé oggi, per evitare di trovarsi Sarkozy candidato in primavera. L’ex presidente quest’estate era convinto di non avere rivali, ma poco per volta ha perso consensi, con una campagna molto a destra, basata sull’identità, per sedurre anche l’elettorato del Fronte nazionale. Tra gli sfidanti, nelle ultime settimane è emerso il terzo uomo, che potrebbe fare il terzo incomodo e smentire i sondaggi che confermano un prossimo duello Juppé-Sarkozy: François Fillon, ex primo ministro di Sarkozy, che incarna una destra conservatrice sulle questioni di società e propone una svolta filo-russa nella diplomazia. Juppé ha 71 anni, Sarkozy 61, Fillon 62. Tra gli altri sfidanti ci sono due rappresentanti di una generazione più giovane, Bruno Le Maire, che è stato ministro dell’Agricoltura (nato nel ’69) e Nathalie Kosciusko-Morizet (del ’73), ex ministra di Sarkozy, che difende una Francia riconciliata in pieno con le nuove tecnologie. In fondo, restano Jean-François Copé, anche lui ex ministro (nato nel ’64) e il demo-cristiano Jean-Frédéric Poisson, sconosciuto prima della campagna, su posizioni a destra della destra, con molti copia-incolla dal programma del Fronte nazionale.

Sull’identità e di conseguenza sull’immigrazione e il posto dell’islam sono emerse differenze di approccio tra Sarkozy e Juppé. In economia, le idee dei sette pretendenti non sono molto distanti, tutti sono liberisti, promettono tagli alla spesa pubblica e al numero dei dipendenti, abolizione della patrimoniale e età della pensione dai 65 anni in sù. E’ tutta una questione di gradi. Si va da Fillon, che riesuma Margaret Thatcher trent’anni dopo e minaccia di tagliare 500mila posti di pubblici dipendenti, a Juppé, che vuole abbassare la spesa pubblica gradualmente, passando per Sarkozy che ha preso a prestito il programma economico da Reagan, ha tentazioni protezioniste e intende tagliare le tasse ai ricchi. Nei programmi di tutti e tre c’è l’abolizione delle 35 ore e una liberalizzazione del mercato del lavoro che farà rimpiangere la contestata Loi Travail. L’Europa è stata praticamente ignorata nella campagna, a parte qualche cenno di circostanza da parte di Juppé.

La campagna è stata molto a destra. Non solo sull’economia. E’ stato Sarkozy a trascinare tutti su questa strada. Ha cominciato a tuonare contro “il multiculturalismo”, è scivolato verso la condanna della “tirannia delle minoranze” per finire, sull’onda della vittoria di Donald Trump, ad auto-promuoversi rappresentante del “popolo” contro le “élites”. Juppé ha parato i colpi, cercando di mantenere la rotta dell’ “identità felice”, contro la deriva identitaria di Sarkozy, che ha affermato che “in Francia si vive come i francesi”, contro burkini e pasti halal (“se alla mensa c’è il prosciutto e un allievo non lo vuole mangiare, allora prenda due porzioni di patatine”). Juppé si è difeso, parlando di “dibattito politico nullo, parliamo dei Galli, e se invece parlassimo di avvenire?”. Fillon ha cercato di fare il superiore, ed è rimasto ancorato alla vecchia Francia, con il ritorno alla “narrazione nazionale” nei libri di storia delle scuole.

La campagna di Sarkozy è stata perturbata dall’irruzione di vecchie storie giudiziarie, lo scandalo Bygmalion sui conti dell’ultima campagna presidenziale, mentre un affarista, il franco-libanese Takieddine, ha ancora insistito sulle “valige” di soldi (5 milioni) di Gheddafi nel 2007. Juppé ha visto riemergere la vecchia condanna a un anno di ineligibilità (e a 14 mesi di carcere con la condizionale) per traffici al comune di Parigi ai tempi di Chirac sindaco.

La battaglia tra i pretendenti è stata dura e la conciliazione del dopo-primarie non sarà facile. La destra sogna fino a 5 milioni di elettori, alle primarie del Ps nel 2011 avevano votato 2,7 milioni. C’è timore di contestazioni, visto il precedente della feroce battaglia del 2012 tra Fillon e Copé per la presidenza del partito, finita con il blitz di Sarkozy, che ha assunto la leadership (con già in vista la rivincita su Hollande del 2017).