Nei Territori occupati incrociano le dita. Giovedì, se tutto andrà per il meglio e, più di tutto, non ci saranno “ostacoli” al valico di Erez, il governo palestinese di consenso nazionale, nato lo scorso giugno, terrà la sua prima storica riunione a Gaza. La prima di un esecutivo con Fatah e Hamas insieme dallo scontro violento tra i due movimenti politici avvenuto a Gaza a metà giugno 2007. Guidati dal premier Rami Hamdallah, i ministri della Cisgiordania avranno modo di verificare di persona la gravità dei danni subiti dalla Striscia durante l’ultima offensiva israeliana che, tra luglio e agosto, ha fatto quasi 2.200 morti palestinesi e provocato distruzioni immense.

 

Questa prima importante riunione – favorita anche dalla soluzione trovata per il pagamento dei circa 40 mila ex impiegati del disciolto governo di Hamas rimasti per mesi senza stipendio – si terrà nella residenza di Abu Mazen. Il presidente dell’Anp, a meno di sorprese clamorose, però non ci sarà. Ufficialmente è impegnato in iniziative diplomatiche volte da un lato a preparare la riunione dei Paesi donatori per la ricostruzione di Gaza prevista il 12 ottobre al Cairo e dall’altro a lavorare dietro le quinte per ottenere sostegni occidentali alla sua iniziativa all’Onu. I palestinesi chiedono al Consiglio di Sicurezza l’approvazione di una risoluzione che stabilisca i tempi del ritiro, non oltre il 2016, delle forze armate israeliane dai territori che occupano dal 1967 e della nascita (sul terreno) dello Stato di Palestina. Domenica prossima Abu Mazen dovrebbe incontrare il Segretario di stato Usa John Kerry. Proverà a convincerlo a sostenere la richiesta palestinese all’Onu. Un tentativo inutile perchè Washington ha già fatto sapere che bloccherà con il veto qualsiasi progetto di soluzione del conflitto israelo-palestinese che faccia ricorso all’Onu (quindi al diritto internazionale) e non al negoziato bilaterale (dimostratosi un fallimento totale negli ultimi 20 anni). Nel fine settimana i palestinesi hanno accolto con soddisfazione la decisione annunciata dalla Svezia di riconoscere al più presto lo Stato di Palestina. Un passo definito “prematuro” (dopo 47 anni di occupazione?) dagli Stati Uniti e al quale ha reagito con stizza il premier israeliano Benyamin Netanyahu (l’ambasciatore svedese a Tel Aviv è stato convocato e rimproverato dal ministro degli esteri Lieberman). Ad aggravare il malumore del primo ministro è anche la lettera firmata da oltre 500 antropologi di tutto il mondo che chiedono il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, in risposta alle politiche del governo Netanyahu verso i palestinesi e alle violazioni del diritto internazionale. Tra i firmatari ci sono nomi illustri come i professori Jean e John Comaroff di Harvard e Michael Taussig della Columbia University.

 

La scorsa settimana il governo palestinese ha reso pubblico il suo piano da 4 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza che sarà presentato ai donatori. 1,9 miliardi sono per le riparazioni delle infrastrutture civili pubbliche e private e 1,2 miliardi per riattivare l’economica. La priorità sarebbe la rimozione delle macerie e delle bombe e dei missili israeliani inesplosi, con gravissimo pericolo per la popolazione civile. Poi vengono i lavori per riparare l’unica centrale elettrica di Gaza (colpita alla fine di luglio, pare da cannonate) e per garantire accesso all’acqua potabile di tutta la popolazione. I costi principali riguardano l’edilizia abitativa: più di 100.000 abitanti di Gaza sono senza casa dopo i 50 giorni di attacchi aerei e di terra israeliani.

 

Decine di migliaia di sfollati continuano a vivere in scuole, in edifici abbandonati, a casa di amici e parenti. Non pochi di loro hanno eretto tende accanto alle macerie delle loro abitazioni distrutte dai bombardamenti. Solo per un numero esiguo di sfollati sono disponibili le case mobili donate dai Paesi del Golfo: due stanze di pochi metri quadrati che dovranno ospitare famiglie quasi sempre numerose. Le condizioni di vita degli sfollati rischiano di aggravarsi nei prossimi mesi, con l’arrivo dell’inverno. Si pensa di trasferirne molti in appartamenti da affittare ma lo stanziamento dei fondi non è garantito. Senza dimenticare che a Gaza ci sono poche case vuote e disponibili. Le Nazioni Unite avranno l’incarico di monitorare l’uso dei fondi internazionali in progetti civili, tenendo a distanza il movimento islamico Hamas. Solo in questo caso Israele allenterà il blocco di Gaza, lasciando passare i materiali necessari per la ricostruzione.