Lo scorso lunedì 18 luglio, il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Roberto Rustichelli ha svolto la relazione annuale nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati.
L’estate porta con sé caldo e siccità, ma pure i compendi periodici del lavoro delle autorità di garanzia. Sono, in genere, testi accurati, ben costruiti e suffragati da corposi allegati analitici. Buoni o meno i testi, i contesti ormai non sono molto favorevoli alle istituzioni nate negli anni novanta del secolo scorso. L’intenzione era chiara: creare luoghi indipendenti tanto dal governo quanto dai parlamento dotati di consistenti poteri regolamentari e coercitivi, nonché di alta amministrazione.

Purtroppo, l’involuzione della sintassi democratica con l’accentramento delle funzioni sull’esecutivo a danno del resto ha ferito apparati che avrebbero dovuto rappresentare l’arricchimento modernizzante del sistema.
Torniamo all’evento del passato lunedì. Il rapporto dell’Agcm ha una parola chiave, che va al di là della stessa fisiologia dell’organismo: concorrenza. La parola ricorre costantemente e appare quasi un’invocazione di una preghiera pagana.
Anzi. Rustichelli rivendica la paternità dello stesso disegno di legge sulla materia, adottato dal governo anche grazie ad un’apposita segnalazione del 2021. Peccato, si sottolinea, che il ddl sia incappato nella crisi in corso e abbia avuto (aggiungiamo noi) il sussulto della protesta dei taxi per una norma sulla liberalizzazione delle licenze.

Del resto, almeno vent’anni fa gli analisti del passaggio dall’età analogica a quella digitale pronosticavano che le pur mirabolanti neotecnologie avrebbero avuto problemi con i trasporti e con la logistica: la rude fisicità. La concorrenza, di cui l’autorità si erge a vigile sacerdote, versa in una situazione complicata, causata dalle consistenti difficoltà economiche e dai risorti sovranismi.
In verità, la concorrenza fu il mantra della stagione dell’Europa dei primi novanta, insieme alla fascinazione del riformismo debole delle terze vie assunto dalle sinistre al governo: liberismo, privatizzazioni e concorrenza furono la triade indissolubile dell’epoca.

Sarebbe, insomma, tempo di bilanci. La terribile oligarchia delle Big Tech spazza via, almeno in parte, il classico approccio al problema, che rischia di tutelare consumatrici e consumatori dai peccati veniali, non dalle colpe mortali.
Eppure, va dato atto, qualcosa si muove. Per pratiche scorrette Amazon è stata condannata a una sanzione pecuniaria di oltre un miliardo di euro e si è aperta una verifica sui rapporti tra la stessa Amazon e Apple.

Nel periodo gennaio 2021-giugno 2022 proprio in materia di concentrazione sono state esaminate 123 operazioni, con l’avvio dell’istruttoria in otto casi ritenuti potenzialmente problematici. A tutela del consumo, nel medesimo lasso di tempo sono stati conclusi 57 procedimenti con l’accertamento dell’infrazione e 45 con l’accoglimento degli impegni. Il totale delle sanzioni irrogate è di 100 milioni di euro. Nel 70% delle misure compensative hanno beneficiato 190.000 persone, per un importo restituito superiore a 23 milioni.

Si passano in rassegna diversi nodi incandescenti, inerenti – ad esempio – all’attualissima questione dell’energia e all’intreccio tra mercato protetto e mercato libero.
Si evocano, oltre alle dovute verifiche di legalità, le decisioni sui conflitti di interesse dei componenti del governo: 148. Ma non si spiega contro chi e neppure si fa cenno all’esito degli interventi. In una relazione di fronte al parlamento la trasparenza sarebbe stata necessaria.

Tuttavia, un punto suscita particolari dubbi. Si parla dei dati. 10 milioni di sanzione comminati ad Apple e Google per mancate informazioni sull’acquisizione e sull’uso della rete nervosa non è poco. Però, l’approccio al tema è confinato all’aspetto economico. Che si tratti di un aspetto cruciale per la tutela dei diritti e delle nostre identità sembra sfuggire. Tra l’altro, ciò contraddice la recente relazione del Garante per la privacy. Chiarezza, per favore.