La doccia fredda per 21 giornalisti turchi è giunta venerdì notte a poche ore dal rilascio: ri-arrestati tutti, con accuse diverse dalle precedenti. Così il procuratore di Istanbul ha cancellato la sentenza della corte che imponeva la liberazione dei 21 reporter arrestati nei mesi precedenti nell’ambito delle purghe post-golpe.

Il tribunale aveva deciso poche ore prima il rilascio in attesa dei singoli processi: i giornalisti sono accusati di reati diversi, dalla propaganda terroristica alla diffusione di notizie false.

Le famiglie li stavano aspettando fuori dalla prigione di Silivri quando è arrivata il nuovo ordine del procuratore: in manette di nuovo, questa volta sulla base di accuse diverse, tra cui quella di aver tentato di rovesciare l’attuale governo.

Un altro colpo durissimo alla libertà di informazione e espressione in un paese dove la magistratura – a seguito delle migliaia di epurazioni ordinate da Ankara – va a braccetto con il potere esecutivo: sono circa 150 i giornalisti incarcerati in Turchia, terzo paese al mondo per numero di reporter dietro le sbarre.

Incarcerazioni che, insieme alla chiusura di centinaia di agenzie stampa, siti web, quotidiani e emittenti radio e tv facilitano notevolmente la propaganda governativa in vista del referendum costituzionale del 16 aprile.

Una campagna che trova sostegno anche nella repressione contro l’Hdp, il partito di sinistra pro-kurdo che ha visto arrestare in pochi mesi migliaia di sostenitori e membri, sindaci e amministratori locali, oltre a undici deputati.

Scomodo oppositore della riforma costituzionale, l’Hdp è stato prima privato della possibilità di votare in blocco in parlamento e ora dell’opportunità di far sentire le proprie ragioni politiche.

Ma a due settimane dal voto, il presidente Erdogan sembra rendersi conto dell’importanza delle schede di oltre 15 milioni di kurdi (tra il 15 e il 20% della popolazione totale): ieri si è rivolto a loro definendosi «il guardiano della pace» e invitandoli a votare sì.

«Questi sostenitori del Pkk continuano a dire ‘pace pace pace’ – ha detto Erdogan – Le parole vuote portano la pace? Noi siamo i guardiani della pace, i guardiani della libertà». Non certo quella del sud-est, dove la comunità kurda ha subito nell’ultimo anno e mezzo una durissima campagna militare che ha ucciso almeno 2mila civili e ne ha sfollati mezzo milione.

Ieri, intanto, il co-leader dell’Hdp Demirtas e il deputato Zeydan hanno concluso lo sciopero della fame iniziato lo stesso giorno e seguito a quello a rotazione indetto alla fine di febbraio da 65 detenuti legati al partito, annunciando di aver ricevuto dalle autorità carcerarie la promessa di rivedere il trattamento dei prigionieri nel carcere di massima sicurezza di Edirne: «Siamo lieti che lo sciopero della fame cominciato il 25 febbraio nella prigione di Edirne sia terminato a seguito del dialogo aperto con l’amministrazione carceraria».