Le riforme della giustizia (processo penale, civile e Csm) ma anche alcune limitate riforme costituzionali e dei regolamenti parlamentari sono in cima alle urgenze del parlamento per i prossimi mesi. Dovranno però farsi spazio in un calendario monopolizzato dai provvedimenti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Dei nove decreti legge indicati nel Pnrr, otto sono previsti entro giugno 2021 e il parlamento dovrà poi convertirli. Tra l’elenco delle priorità non c’è la nuova legge elettorale, malgrado sia considerata il naturale e inevitabile complemento al taglio dei parlamentari. Lo ha confermato ieri il segretario del Pd, dicendo che «non è il momento di concentrare l’attenzione del parlamento sulla legge elettorale, altrimenti daremmo l’impressione al paese che la politica si occupa della politica». Secondo Enrico Letta «ci sarà tempo per parlarne più avanti».

Più avanti, secondo il Pd, vuol dire dopo le amministrative di autunno. Quando il centrodestra potrebbe essere più libero per accordi trasversali e il centrosinistra avrà misurato la tenuta della coalizione Pd-5 Stelle. Questo è quello che ripetono al Nazareno, insieme con la determinazione espressa ieri da Letta a SkyTg24 che «dobbiamo evitare che dopo Draghi ci sia un governo Salvini-Meloni e con questa legge elettorale loro vincono anche senza Forza Italia». Tutto giusto, ma la constatazione che con questa legge elettorale, peraltro voluta dal Pd – il Rosatellum -, Salvini e Meloni abbiano la vittoria in tasca mal si concilia con l’intenzione di voler rimandare il discorso sulla sua modifica. Anche perché è chiaro a tutti che dopo le amministrative ci sarà solo un argomento al centro dell’interesse dei partiti: l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Prima che finiscano le vacanze di Natale, infatti, il parlamento e i delegati regionali avranno cominciato a votare il successore di Mattarella. Dovesse essere Draghi, il discorso sulla nuova legge elettorale si può considerare chiuso: si voterà infatti nella primavera del 2022, necessariamente con la legge elettorale che c’è adesso. Quella che, come riconosce Letta, può regalare alla destra-destra la maggioranza assoluta del nuovo (mini) parlamento. Ma che presenta il vantaggio di conservare collegi uninominali e liste bloccate, graditissimi ai leader di partito, specialmente ora che i seggi da assegnare saranno assai ridotti.

Un altro segnale che è ormai arrivato il momento di guardare avanti arriva dalla camera, dove il centrodestra ha battuto un colpo insieme a Italia viva (come capita sempre più spesso). Da mesi si trascina un confronto sulla riforma dei regolamenti parlamentari, tra chi è preoccupato semplicemente di adeguarli ai nuovi numeri del parlamento (400 deputati invece di 630 e 200 senatori elettivi invece di 315) e chi vuole cogliere l’occasione per aggiornare le regole del funzionamento delle camere (soprattutto la camera dei deputati, rimasta indietro nella scorsa legislatura). Tra questi ultimi c’è adesso il Pd di Letta, il segretario essendo convinto che sia urgente (più urgente della legge elettorale) ridimensionare il gruppo misto come misura contro i trasformismi. L’idea è quella di conservarlo solo per i partiti presenti alle elezioni che non riescono a raggiungere la quota minima per formare un gruppo. Non saranno pochi: alla camera l’attuale sbarramento al 3% garantisce a chi lo supera all’incirca la metà dei deputati necessari a formare un nuovo gruppo (saranno tredici invece degli attuali venti). Per il resto chi dovesse lasciare il gruppo di appartenenza nel corso della legislatura finirà tra i non iscritti, come nel parlamento europeo, con uno spazio ridotto di intervento e senza la possibilità che c’è oggi di gestire in proprio il 50% del contributo pubblico alle spese. Su iniziativa del deputato di Forza Italia Simone Baldelli, il centrodestra e i renziani hanno presentato una proposta per modificare il regolamento solo nei numeri indispensabili per garantirne il funzionamento. Proposta troppo minimale per Pd, 5 Stelle e Leu che in settimana si preparano a presentarne un’altra più organica. Sulle modifiche del regolamento è previsto il voto segreto e vanno approvate a maggioranza assoluta.

Maggioranza assoluta che è richiesta anche per le leggi di revisione costituzionale come l’abbassamento a 18 anni del voto per il senato, riforma fermata in calcio d’angolo oltre sei mesi fa e che dovrebbe tornare nel calendario dell’aula di Montecitorio intorno al 10 giugno. Quando i nodi che bloccano il difficile accordo in commissione sulla giustizia e in particolare sulla prescrizione e il nuovo processo penale dovranno necessariamente essere sciolti.