Marco Bussetti, area leghista, già provveditore a Milano, è un ministro dell’Istruzione noto per uscite infelici come «Al Sud non fondi, ma più impegno» o dichiarazioni equivoche di stampo salvinista. In un’intervista alla Stampa, afferma: «A scuola tuteliamo gli studenti immigrati, ma prima i nostri figli». Una variante di «prima gli italiani», anche se il titolo è forzato rispetto a dichiarazioni discutibili in cui si sostiene che il governo non agisce «in maniera pregiudiziale» rispetto all’immigrazione e si ritiene «una priorità assoluta» «aiutare i nostri giovani affinché possano farsi una famiglia, avere dei figli». Dove «nostri» si riferisce agli italiani, ma forse anche ai giovani nati da non italiani.

In attesa di precisazioni, la polemica è partita. «Dovrebbe garantire un’adeguata retribuzione agli insegnanti, darsi da fare per mettere le scuole in sicurezza e rendere le palestre agibili. Invece il ministro dell’istruzione leghista lancia slogan discriminatori come un Salvini qualsiasi» ha scritto Laura Boldrini (LeU). «Una vergogna per il paese avere una ministro che dice certe cose» ha commentato Ettore Rosato (Pd).

«È uno slogan, non sono parole da ministro» sostiene Francesco Sinopoli, segretario della Flc -Cgil che attacca anche l’idea di Bussetti secondo la quale la scuola è il luogo dove i giovani sono aiutati a farsi una famiglia: «Se rilancia le tesi di Verona sulla famiglia tradizionale come missione della scuola ha sbagliato direzione». «I bambini non possono essere oggetti di discriminazioni». (Maddalena Gissi, Cisl).

Il nodo della scuola resta la politica salariale e la mancanza di una visione d’insieme e in prospettiva. A partire dal problema dei salari degli insegnanti più bassi d’Europa, il precariato dei docenti che persiste nonostante la recenti stabilizzazioni, un contratto nazionale che resta sospeso a annunci volenterosi e fatti ancora pari a zero. Da una rielaborazione della Flc Cgil su dati Ocse emerge che le retribuzioni dei docenti italiani risultano le più basse a inizio carriera, e dopo 15 anni, rispetto a Germania, Francia e Spagna. Da aprile lo sblocco dell’indennità contrattuale comporterà l’aumento degli stipendi pari alla bellezza, si fa per dire, dello 0,42% e dello 0,7% a partire dal primo luglio. Si va da un minimo di 5,4 euro a un massimo di 12.

Briciole dopo un contratto-ponte che non ha risolto i danni prodotti dal blocco degli adeguamenti contrattuali. Restano le promesse dei concorsi, a cui sono appesi decine di migliaia di precari: per la primaria siamo agli atti preparatori per il bando del nuovo concorso di 16.959 posti. Per la scuola secondaria, per un totale di 48.536 posti, di cui 8.491 sul sostegno.

Occupato in un Def pieno di temibili promesse elettorali liberiste come la «Flat Tax», il governo si è dimenticato della scuola, per non parlare dell’università e della ricerca. Dopo un tentativo inutile di conciliazione, lunedì scorso i sindacati hanno confermato lo sciopero. Saranno due: il primo è quello generale del 10 maggio (Usb) con il pubblico impiego e i trasporti. Il secondo sarà il 17 maggio (Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals Confsal, Gilda, Cobas e Unicobas). Al centro della protesta c’è l’opposizione frontale di tutti i sindacati al progetto leghista di «autonomia differenziata», la «secessione dei ricchi» devastante anche per l’istruzione.