Da settimane si parla del probabile viaggio in Italia di Xi Jinping e dell’altrettanto probabile firma di Cina e Italia del Mou (Memorandum of understanding) sulla Nuova via della seta, il progetto di infrastrutture considerato il più grande mai concepito nella storia dell’uomo e conosciuto internazionalmente come One Belt One Road (Obor).

L’eventuale firma dell’Italia – che aveva già appoggiato il progetto con Gentiloni presente a Pechino nel lancio avvenuto a maggio 2017 – avrebbe un grande impatto politico e mediatico, perché in realtà, da quando si è appreso, di specifico nell’eventuale Mou ci sarebbe ben poco e perché da un punto di vista degli investimenti cinesi in Italia, Pechino è già presente (in Autostrade ad esempio e non solo).

Del resto lo stesso sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci – in quota Lega ma principale fautore dell’avvicinamento alla Cina nonostante i tweet anti-Pechino di Salvini con particolare riferimento all’Africa – ha parlato al Sole24ore di “un accordo cornice: solo l’indicazione di alcuni settori strategici in cui favorire investimenti congiunti e accelerare l’acquisizione di commesse da parte delle imprese italiane”.

[do action=”citazione”]Rimane il dato politico: una eventuale firma converrebbe a Roma per dimostrare grande agibilità internazionale, ma converrebbe ancora di più, naturalmente, alla parte più forte, cioè la Cina.[/do]

A questo proposito però siamo di fronte a un paradosso: da giorni i media cinesi si riferiscono all’Italia soprattutto in relazione al Tav. I cinesi non si capacitano di come l’Italia possa resistere alla necessità delle grande opere, il pane quotidiano degli investimenti cinesi. I 5s dunque dovrebbero sapere che accettare i soldi – o l’influenza – della Cina potrebbe significare abbandonare le travagliate analisi dei costi, e il seguito territoriale nato proprio dalla contrarietà a questi progetti: Pechino non accetterebbe di certo titubanze di fronte a infrastrutture che ritiene importanti.

Resta il dato politico: dopo Grecia, Portogallo e Ungheria la Via della seta avrebbe tra i suoi “amici” anche un paese del G7 nonché fondatore della Ue. Per la Cina sarebbe un colpo geopolitico rilevante, sia rispetto all’Europa sia rispetto agli Stati uniti. E questa eventualità è talmente nota a Washington che l’irritazione americana non è stata granché nascosta, prima attraverso l’attività del personale diplomatico in Italia, che ha voluto chiedere direttamente al Mise spiegazioni, e poi con la convocazione in ambasciata del vice premier Luigi Di Maio (lasciando intendere che l’argomento fosse il Venezuela).

Non solo: mercoledì la Commissione europea ha approvato l’avvio di screening sugli investimenti diretti stranieri, con un chiaro riferimento alla Cina ma l’Italia si è astenuta, nonostante Roma (con lo stesso Geraci) si fosse sempre dichiarata favorevole. Ma l’alleanza con la Cina richiede mosse geopolitiche, come dimostra la Grecia che si è espressa in sede Onu contro report che accusavano la Cina sul tema dei diritti umani.

Tanto è bastato – in ogni caso – perché gli Usa ricordassero a Roma come stanno le cose, dal loro punto di vista. Ieri un articolo apparso sul Financial Times metteva in chiaro il pensiero americano, visibilmente infastidito dal comportamento italiano. Garrett Marquis, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha spiegato al quotidiano finanziario londinese che Washington è scettica sul fatto “che la partecipazione dell’Italia possa portare alcun sostanziale beneficio economico al popolo italiano e siamo convinti che invece alla fine possa danneggiare la reputazione globale dell’Italia”.

Marquis ha poi specificato che il governo Usa ha espresso a quello italiano tutte le sue preoccupazioni per quelli che ha definito gli effetti negativi della “diplomazia delle infrastrutture” della Cina; e che ha anche sollecitato “tutti i paesi alleati e partner commerciali, inclusa l’Italia” a fare pressioni sulla Cina perché riporti i suoi investimenti globali nell’alveo degli standard accettati internazionalmente.

Gli Usa da tempo sono impegnati nello scontro commerciale con la Cina e in un più generale tentativo di screditare Pechino con tutti i propri alleati: la vicenda Huawei – in questo senso – esemplifica l’atteggiamento americano, con Washington impegnata a chiedere a chiunque di non consentire a Huawei di ottenere importanti contratti. La sfida infatti non è tanto e solo sui dazi, ma finisce per essere una battaglia decisiva nella corsa alla leadership tecnologica mondiale.

La Nuova via della seta, di conseguenza, è vista come una sorta di cavallo di Troia cinese per entrare di prepotenza in ambiti politici tradizionalmente “atlantisti”.

[do action=”citazione”]Obor è un progetto lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013 che coinvolge ormai quasi un centinaio di paesi e che ha come intenzione quello di finanziare maestosi progetti infrastrutturali per consentire una maggiore velocità dei movimenti delle merci.[/do]

Secondo alcuni analisti il progetto starebbe incontrando problemi di natura politica, ma Pechino lo ha inserito all’interno della propria carta costituzionale e dunque è scontato che rimarrà a lungo, quanto meno fino al centenario della Repubblica popolare nel 2049, il chiodo fisso della dirigenza cinese.

Sulla vicinanza tra Cina e Italia per quanto riguarda Obor, sono arrivate conferme quasi ogni giorno: a inizio settimana il quotidiano genovese Il Secolo XIX aveva rivelato la possibilità che il porto di Genova potesse aprire una partnership con la cinese CCCC (China Communications Costruction Company) per quanto riguarda eventuali appalti e grandi opere nel porto di Genova.

Ieri il quotidiano ospitava la conferma di quanto scritto precedentemente a proposito delle affermazioni del presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Paolo Emilio Signorini. Secondo quest’ultimo “A fine mese, durante la visita a Roma del Presidente cinese Xi Jinping, l’Italia, primo Paese dell’Europa Occidentale a farlo – ha detto Signorini – firmerà un accordo bilaterale con la Cina sulla Belt&Road”.

L’eventualità naturalmente comporterebbe uno scarto geopolitico non da poco per l’Italia, da sempre in orbita atlantista e ora sempre più vicino alla Cina.