Continua il calvario dei migranti della Repubblica democratica del Congo che l’Angola ha deciso di rimpatriare con la forza, senza fare troppe distinzioni tra “irregolari”, profughi di guerra, lavoratori regolarmente registrati.

I numeri sono impressionanti: da inizio ottobre tra 200 e 400 mila persone sarebbero state oggetto di «deportazioni di massa», come è tornata a denunciare ieri anche Human Rights Watch. Rilanciando l’allarme già diffuso dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), dopo la conferma che almeno 47 degli espulsi erano teoricamente protetti dallo status di rifugiati.

Il drastico provvedimento riguarda quasi esclusivamente famiglie congolesi, originarie delle province di Kwango e del Kasai. In fuga dal conflitto che ha infiammato la regione tra il 2016 e il 2017. Molti hanno trovato impiego nelle miniere di diamanti, legali e non, al di là del confine angolano. Ufficialmente l’operazione lanciata dal governo mira a combattere «immigrazione clandestina» e «traffico di diamanti». Di fatto il messaggio che passa, in riferimento alle ricchezze diamantifere nazionali, è «prima gli angolani».

Emerge così il versante più impresentabile del nuovo corso inaugurato nel 2017 dalla presidenza di João Lourenço, dopo il lungo regno di Jose Eduardo dos Santos e famiglia, anche sull’economia di uno dei paesi più in crescita dell’Africa, straricco di petrolio. Malgrado il profilo del perfetto delfino, Lourenço lo hanno chiamato Terminator per i modi decisi con cui ha cercato di rinnovare il volto del regime, tra lotta ai corrotti e aperture sul fronte dei diritti civili.

L’Unicef ha raccolto già 9 milioni di dollari per andare in aiuto delle persone rimpatriate e tamponare l’emergenza, segnalando il rischio crescente di epidemie a fronte della vulnerabilità dei più piccoli.