Le misure in campo energetico che il governo ha presentato confermano un sostanziale sbilanciamento delle sue politiche verso il gas. E’ stato annunciato l’obiettivo di aumentare di 2 miliardi di metri cubi la produzione nazionale dai pozzi esistenti, e di immetterli nel mercato con un meccanismo di contratti a lungo termine a prezzo prefissato. Rispetto al consumo di gas di 76 miliardi di metri cubi registrato nel 2021, si tratta di una quantità limitata che, pur gestita al di fuori del mercato spot, potrà beneficiare solo pochi (grandi?) consumatori.

Cosa che non sarebbe cambiata di molto nemmeno con il ventilato raddoppio della produzione nazionale. Sul versante delle fonti rinnovabili – prevalentemente fotovoltaico – è stata annunciata una semplificazione, cosa di per sé positiva, per gli impianti fino a 200 kW.
L’obiettivo citato un anno fa dal ministro Cingolani, cioè di una quota del 72% di rinnovabili al 2030, obiettivo condiviso da un fronte che va da Greenpeace alle associazioni dell’industria elettrica, avrebbe dovuto portarci a una svolta che, più volte annunciata, ancora non si vede. Per farlo bisognerebbe installare qualcosa come 8 GW di rinnovabili all’anno a fronte di richieste di connessione alla rete di circa 200 GW: le intenzioni di investimento rinnovabile com’è noto ci sono e sono robuste.

Se installassimo 8 GW di rinnovabili all’anno, potremmo ridurre i consumi di gas nel settore elettrico di 2 miliardi di metri cubi, la stessa quantità di gas di cui si vuole aumentare la produzione nazionale. In assenza di questa svolta rinnovabile – per quanto dichiarata a parole – le misure presentate oggi appaiono la riconferma della linea “prima di tutto il gas”. Il solare va bene ma non a scala industriale, quella la si lascia al gas. E’ peraltro assente una misura per semplificare le installazioni agrivoltaiche – cioè impianti solari sotto cui si continua a coltivare – che invece potrebbe dare un contributo rilevante oltre dare un reddito aggiuntivo alle aziende agricole. La misura è presente nel Pnrr ma è limitata a soli 2 GW. Il Fraunhofer Institute ha valutato per la Germania – a titolo di esempio per dare il senso del grande potenziale energetico – che tutta l’elettricità oggi utilizzata da quel Paese, implicherebbe installazioni agrivoltaiche per 500 GW coinvolgendo solo il 4 per cento della superficie agricola tedesca e con benefici anche per le colture coinvolte. L’Italia ha una superficie agricola inferiore alla Germania ma ha molto più sole e consumi energetici ben inferiori.

Una questione centrale della transizione energetica riguarda la resistenza del settore petrolifero e del gas, la cui natura oligopolistica sembra la vera ragione per cui non vediamo (e forse non vedremo) ancora una vera svolta ma solo greenwashing. Rispetto al numero limitato di grandi aziende a livello globale in questo mercato riservato a pochi, quello delle fonti rinnovabili è invece un mercato estremamente competitivo con migliaia di aziende di dimensioni grandi, medie e piccole. Il puntare alle tecnologie di cattura e sequestro della CO2 (CCS) – tecnologia che ha segnato, anche di recente, clamorosi fallimenti – per mantenere gli asset fossili utilizzabili anche in prospettiva e persino il battage, privo di fondamento, sulla fusione nucleare, rivela, oltre a una comunicazione diversiva rispetto alla povertà delle scelte industriali, la ricerca di qualche tecnologia di grande costo o complessità, adatta a una azienda intrinsecamente oligopolistica. Questo tipo di aziende investono in pochi impianti relativamente grandi e costosi, con tempi di rientro dei capitali lunghi, mentre investire nelle rinnovabili significa fare moltissimi impianti con costi calanti e tempi di ritorno più brevi. La frase di quell’alto dirigente petrolifero che, citando Schumpeter, suonava come «quando avrete vinto voi ecologisti sulle rinnovabili, noi saremo morti» forse aveva centrato il vero problema.

* direttore Greenpeace Italia