Non solo palazzetti dello sport, scuole, palestre e tendoni adibiti a centri di smistamento che diventano di accoglienza; o centri governativi gestiti da cooperative che, per assicurarsi l’appalto, giocano a ribasso a discapito dei richiedenti asilo che vi finiscono a vivere. Ci sono, infatti, poi, anche gli accampamenti spontanei di persone costrette a vivere per strada, oppure in case abbandonate, in attesa di vedersi riconosciuto il diritto di richiedere asilo. Sono luoghi di fortuna abitati da coloro che aspettano anche un mese prima essere foto-segnalati, e anche 3 mesi prima di poter formalizzare l’istanza d’asilo. E intanto vivono all’addiaccio, in totale abbandono.

A Caltanissetta, attorno al centro di accoglienza governativo di Pian del Lago, si sono formati 3 accampamenti, nei quali vivono al momento, circa 160 persone. Sono tutti uomini provenienti soprattutto dalle zone del Pakistan, Afghanistan e Bangladesh e hanno un età media di 30 anni, con un range che va dai 18 ai 50.

Corpi torturati

Il maggior numero di questi migranti è concentrato in un skate park abbandonato. Qui vivono più di 130 persone in una distesa di materassi e coperte (che con questo freddo non bastano mai). Cucinano su bracieri di fortuna e riescono anche ad impastare e cuocere il pane sui grandi bidoni dentro i quali brucia la legna raccolta qua e là. Nonostante il freddo rigido, continuano a lavarsi all’aperto con l’acqua ghiacciata raccolta in taniche. Lavano anche i vestiti che, con la pioggia di questi giorni, vengono continuamente ritirati nella struttura interna, e poi rimessi fuori ad asciugare, al primo accenno di sole.

Queste persone «vivono come animali». È questa la frase che continuo a ripetermi quando vado a trovarli negli accampamenti. In questi accampamenti non c’è acqua, né tanto meno la luce. Anch’io devo organizzare le mie visite tenendo conto di questa variabile, perché, appena cala il sole, nell’accampamento è buio pesto.

Le storie di questi uomini sono diversissime tra loro, ma tutte molto, molto complicate. Molti di loro sono arrivati in un container o attaccati sotto uno dei Tir che viaggiano dall’Asia verso l’Europa. Anche ai più anziani è toccato un viaggio di questo tipo, passando anche tre giorni senza mangiare né bere. Tutti raccontano di come, una volta toccata terra, non fossero in grado di camminare.

Non si sa come abbiamo potuto sopravvivere a tutto questo; quello che è certo è che, ancora, non sono padroni della propria esistenza. Questi uomini, che non possono essere ancora definiti richiedenti asilo perché, da mesi, sono in attesa di formalizzare la loro domanda, sono abbandonati da un’intera città, dalla sua amministrazione e dalle istituzioni, anche da quelle notoriamente impegnate nel campo dell’immigrazione e del disagio, come Caritas e Croce Rossa.

Nessuno ha mai pensato di garantire loro neanche uno screening sanitario, finché, lo scorso week end, è arrivata un’equipe di Medici senza Frontiere. In due giorni, sono state visitate tutte le persone dei diversi accampamenti che si sono presentate. Attraverso questo screening si sono potuti anche individuare alcuni casi di particolare gravità che, grazie alla disponibilità della Prefettura, sono stati collocati immediatamente all’interno di strutture di accoglienza. Si è potuto anche, purtroppo, apprendere che segni compatibili a quelli di tortura sono visibili sui corpi di alcuni di loro, e non solo nei loro sguardi. Storie di tortura che forse non verranno neppure raccontate alla Commissione, perché nessuno di questi profughi ha ancora ricevuto consulenza legale e non hanno idea del peso che potrebbero avere nell’esame della loro richiesta di asilo.

Vuoto di Stato

È da troppo tempo ormai che nessuno si prende cura della realtà degli accampamenti che, ciclicamente, da anni, continua a ripresentarsi in questa zona. Come tutte le altre volte, i cittadini si sono solo limitatati ad evitare di frequentare l’area perché avvertita come poco sicura. E l’amministrazione ad accettare tutto questo con tacito consenso, pur di non rischiare di doversi sobbarcare il carico di questa situazione.

E così, questi luoghi ricolmi della degenerazione creata da un vuoto istituzionale, vengono solo percepiti come spazi occupati e invasi dagli extra-comunitari che li hanno «sottratti ai cittadini», anche quando, come in questo caso, si tratta di un luogo in disuso da tempo: uno skate park privo della rampa, arsa in un incendio dell’agosto 2012.

Il fattore principale che contribuisce a creare tale assembramento di persone attorno a questa zona è la presenza del centro governativo di Pian del Lago, con l’Ufficio Immigrazione della Questura che è stato trasferito al suo interno: una mossa strategica per spingere il fenomeno migratorio ai margini della città ed arginarne la visibilità. Già, perché anche il centro governativo di Pian del Lago, come in genere molte strutture di accoglienza, si trova fuori dal centro abitato, a cinque chilometri. E la mancanza di un servizio di trasporto pubblico di collegamento lo rende ancora più isolato. E queste persone – che a volte attendono anche oltre 10 mesi all’interno del centro di accoglienza (limitando il ricambio degli ospiti) in attesa del riconoscimento della protezione internazionale – per presentare richiesta d’asilo o per ricevere una seconda convocazione per un riesame hanno bisogno di vivere nei pressi dell’Ufficio Immigrazione, che frequentano ogni giorno per non rischiare di risultare irreperibili. C’è anche chi è incastrato in questo limbo da mesi, solo per dover rinnovare il permesso di soggiorno; e chi attende il verdetto dall’Unità Dublino per sapere quale Paese esaminerà la sua domanda d’asilo.

Emergenza infinita

La Prefettura ha di recente individuato diverse strutture della provincia che, finalmente, daranno presto accoglienza a questi richiedenti asilo. Ad ogni modo, è già ipotizzabile che, come già successo in passato, l’emergenza in questi accampamenti tornerà con l’arrivo di nuovi migranti.

Emergenza e ancora emergenza: sempre e comunque emergenza. Al di là degli sforzi che la Prefettura di Caltanissetta sta facendo per salvare queste persone dal freddo, non vi è provvedimento che possa sanare questo sistema di accoglienza e protezione, che fa acqua da tutte le parti. In tutta la Sicilia si sta assistendo a qualcosa di surreale: profughi di guerra ospitati in palazzetti dello sport, rifugiati costipati in tendoni o costretti a vivere interi mesi in palestre, centri di prima accoglienza improvvisati ovunque e con gestori che non hanno la benché minima esperienza in questo settore. Tutti i giorni abbiamo davanti i risultati della politica dell’emergenza, il risultato di una legislazione sull’immigrazione che mostra la sua inadeguatezza rispetto alla realtà, oltre che al rispetto dei diritti fondamentali.

Quale stato di diritto può riservare un tale trattamento ad una categoria vulnerabile quale è quella dei migranti? In questo progressivo sgretolamento dello stato sociale, diviene anche difficile confidare sul senso di responsabilità e solidarietà della società civile. Sempre più spesso si sente parlare di una gerarchia dei diritti che predilige quelli dei cittadini italiani rispetto ai diritti degli stranieri. E poco conta che si tratti di donne, uomini, bambine o bambini.