Prigionieri politici in cambio di altre case nelle colonie israeliane. Sarà questo l’accordo che con ogni probabilità il premier israeliano Netanyahu raggiungerà oggi con i ministri più radicali del suo governo di destra. Ministri che da settimane contestano la prevista scarcerazione di altri 26 dei 104 detenuti palestinesi che Israele ha accettato di liberare nel quadro delle intese per la ripresa dei negoziati bilaterali. I giornali israeliani scrivono da giorni di questo scambio che serve a placare la rabbia degli oltranzisti, a danno dei palestinesi. Ieri i dirigenti dell’Autorità nazionale (Anp) hanno smentito categoricamente di aver dato il loro consenso a questo compromesso. «Fare ciò significa creare una situazione pericolosa che non accetteremo mai», ha detto Yasser Abed Rabbo, il segretario generale dell’Olp. In ogni caso i palestinesi sono impotenti, non hanno alcun modo per impedire questa intesa decisa tutta in casa israeliana.
Già lo scorso 14 agosto, al momento della liberazione dei primi 26 prigionieri politici, il governo israeliano aveva dato un colpo di acceleratore alla colonizzazione dei Territori, con l’autorizzazione alla costruzione di 942 alloggi a Gerusalemme Est. Anche in quella occasione, come ora, il ministro israeliano dell’edilizia Uri Ariel era emerso, assieme al collega Naftali Bennett, come uno dei più accaniti oppositori del rilascio dei detenuti. Ariel ha lasciato capire che questa volta a beneficiare del compromesso raggiunto all’interno del governo potrebbero essere i coloni di Hebron, la città palestinese divisa in due settori, H1 e H2 (sulla base di un accordo firmato del 1997 da Netanyahu e l’ex presidente palestinese Yasser Arafat), dove poche centinaia di coloni vivono insediati tra migliaia di palestinesi. Il premier stesso nei giorni scorsi ha esaltato la presenza e l’importanza per Israele della presenza dei coloni a Hebron. Da quando il presidente dell’Anp Abu Mazen, alla fine di novembre dello scorso anno, ha ottenuto il voto favorevole all’ingresso dello Stato di Palestina nell’Onu come Stato non membro, sulla Cisgiordania e Gerusalemme Est si è abbattuta una colata di cemento. Nei primi sei mesi del 2013 i progetti edili nelle colonie israeliane sono cresciuti del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Intanto una delegazione ufficiale dell’Europarlamento in missione per ragioni umanitarie nei Territori occupati si è vista rifiutare l’ingresso a Gaza dalle autorità israeliane, perchè la visita avrebbe “rafforzato il movimento islamico Hamas” (che governa Gaza). La delegazione dell’Ue aveva in programma visite a scuole, ospedali, sedi dell’Onu, centri di distribuzione alimentare e riabilitazione sociale e sportiva. Secondo Margret Auken, membro danese della delegazione, la ragione vera per la quale il governo Netanyahu ha bloccato la missione non sarebbe legata ad Hamas, bensì alla volontà di Israele di punire l’Unione europea che di recente ha approvato direttive che vietano ai paesi membri di fare affari o finanziare organismi israeliani che si trovano al di fuori del territorio dello Stato ebraico e al di là della cosiddetta Linea Verde del 1967: Cisgiordania, Gerusalemme Est, Gaza e le Alture del Golan, territori occupati e mai riconosciuti come parte di Israele dal diritto internazionale. Contro queste direttive Israele ha lungamente protestato – sostenendo che l’Europa intende già tracciare i confini futuri tra lo Stato ebraico e quello palestinese – e dietro le quinte della diplomazia ufficiale lavora per farle revocare.