A Roma, l’edificio di Via Tasso al numero 145-155, che già ospitava gli uffici culturali dell’ambasciata tedesca, divenne, dopo l’occupazione tedesca della città l’11 settembre 1943, la sede del quartier generale del Sichereitdienst (servizio di sicurezza Sd) e della Sicherheit Polizei (Sipo, polizia di sicurezza), sotto il comando del colonnello Herbert Kappler. Era il luogo dove, anche senza motivo, le persone erano portate, venivano interrogate, detenute, torturate. Da qui si usciva solo per finire al carcere di Regina Coeli, al Tribunale di guerra per essere fucilati a Forte Bravetta o per scontare una pena in Germania, per finire nei lager o per essere uccisi alle Fosse Ardeatine, come avvenne il 24 marzo del 1944. Queste stanze, che ospitano ancora le stesse celle e i luoghi di tortura che videro la sofferenza di duemila anti-fascisti, dei quali circa 400 donne, furono anche il teatro delle «imprese» criminali di Erich Priebke.
Qui abbiamo incontrato Antonio Parisella presidente del Museo storico della Liberazione che dal 1955 ha sede proprio a Via Tasso.

Che cosa provi alla notizia della morte di Priebke?
Aveva da poco compiuto cento anni. Che altro doveva fare? Ora, con la sua morte, si potrà e si dovrà vedere con maggiore severità e insieme serenità la sua vicenda, le sue responsabilità, al di là degli interventi strumentali, spesso usati da avvocati e parenti e da chiunque aveva interesse a sminuirle. È arrivato il momento che qualcuno su questa figura compia una ricostruzione adeguata, affrontando tutti gli atti processuali e soprattutto gli archivi tedeschi che ancora non conosciamo bene. Ricostruendo così tutta la sua attività all’interno del Comando di Via Tasso, non solo rispetto al massacro delle Fosse Ardeatine nel quale vennero assassinate 335 persone.

Perché questa prospettiva da Via Tasso è più illuminante sul ruolo di Priebke che, ricordiamo, ha ripetutamente dichiarato nel processo di avere «solo eseguito gli ordini»?
Perché la vita del carcere, del Comando di polizia e dei servizi di sicurezza nazisti lo vede protagonista. È questa verità che ci fa capire le sue reali responsabilità. Cioè che Kappler, insieme a Priebke, Hass e Schutz sono le figure che assumono in prima persona il compito dei fucilatori quando accade che i commilitoni dei soldati morti nell’attentato partigiano di Via Rasella il giorno prima, il 23 marzo 1944, si rifiutano di fare loro direttamente la rappresaglia come gli era stato richiesto dai nazisti. E questo perché il comandante del Battaglione Bozen dichiarò che il codice militare prevedeva che potessero dire di no ad una rappresaglia. È in quel momento che il Comando nazista si assume il compito, con gli ufficiali compreso Priebke pistola alla mano, riempiendo di alcol gli effettivi, circa cento Ss. Risultato: 335 assassinati e nascosti nelle cave delle Ardeatine. Questo crimine diretto avviene proprio perché Priebke era già aguzzino al più alto livello, nei soprusi, nelle violenze, nelle uccisioni e nelle torture che venivano commesse nel carcere di Via Tasso. Lui che era l’aiutante di Kappler dal 1939. Nell’ordine gerarchico – comandava anche la polizia fascista – il comandante in capo era Herbert Kappler, fuggito dal carcere italiano grazie a protezioni occulte nel 1977; subito dopo come braccio destro c’era Karl Hass (dopo la Seconda guerra mondiale venne reclutato dall’intelligence americana), e al numero tre Erich Priebke e Carl Schutz.

Poi però Erich Priebke fu estradato dall’Argentina e processato in Italia nell’aprile del 1997…
M’importa ricordare subito che l’avrebbe fatta franca anche allora, c’era già un aereo che lo aspettava per portarlo impunito in Spagna o in America latina, nonostante che persino la Germania avesse chiesto l’estradizione. Se non fosse stato per l’iniziativa dei familiari delle vittime che bloccarono il Tribunale nell’agosto del ’97 e per l’allora ministro della giustizia Flick che nella notte riuscì a ottenere un nuovo mandato di cattura e a permettere che uscisse da quel tribunale per finire nel carcere di Regina Coeli.

Ora, con la morte, si può dire che giustizia è stata fatta?
La giustizia dei codici forse sì. Ma quella che può sanare il dolore dei familiari delle vittime, non sarà mai fatta. Il fatto più importante è che la condanna di Erich Priebke è uno degli ultimi atti rilevanti e positivi della cultura antifascista, cioè coerenti con la cultura che ha generato la Costituzione. Perché in realtà, dagli anni Novanta in poi, sono dilagati in Europa due fenomeni: sul piano culturale il revisionismo storico e il negazionismo della Shoah, mentre sul piano concreto sono nati movimenti neonazisti e xenofobi che, non solo sono forti in Grecia e serpeggiano in Italia, ma in alcuni paesi, penso all’Ungheria, alla Lituania e recentemente alla Norvegia, ormai ispirano l’azione di governo degli stati. È in questo clima che sui muri vicino a Via Tasso mani criminali hanno recentemente scritto inneggiando a Himmler e graffitato «onore al camerata Priebke».