È entrata in vigore la nuova legge che limita i sussidi sulla benzina in Iran. I prezzi sono saliti in poche ore del 75%. «Sono due mesi che lavoriamo per l’attuazione di questo piano nelle province e nelle aree rurali», ha assicurato il ministro dell’Interno Abdolreza Fazli. Il governo del tecnocrate Hassan Rohani è impegnato dal giorno del suo insediamento, nel giugno scorso, in una serie di riforme economiche che a febbraio avevano esteso il numero di famiglie disagiate, aventi diritto a beni alimentari a prezzi calmierati. D’altra parte, sono stati disposti aumenti per i canoni mensili dell’elettricità (saliti del 24%) e dell’acqua (20%).

Il piano di revisione di sussidi e imposte è entrato in vigore in varie fasi. Inoltre, in seguito all’accordo sul nucleare, firmato a Ginevra il 24 novembre scorso, Tehran ha visto crescere l’interesse degli investitori internazionali, motivati da una possibile eliminazione delle sanzioni contro il paese. Eppure, sebbene la crescita economica sembra vicina, i prezzi delle automobili e degli affitti restano altissimi. Il governo iraniano ha sempre tentato di contenere i prezzi della benzina, mantenendoli ai livelli più bassi nella regione.

E così i prezzi sono cresciuti ieri da 11 a 20 centesimi di euro al litro. In pochi anni, il prezzo del carburante è aumentato di circa sei volte. Mentre il prezzo del petrolio (insieme a diesel e gas naturali) per l’esportazione è salito da 19 a 28 centesimi al litro. Nelle ultime ore, si registrano code di automobilisti che tentano di assicurarsi un pieno di benzina ai prezzi precedenti all’entrata in vigore del piano del governo. Per questo, il capo dell’Unione dei distributori di benzina, Bijan Mohammadreza ha segnalato che «la gente sta stivando carburante in contenitori alternativi».

Non solo, proseguono le polemiche dopo il trasferimento del direttore della temibile prigione di Evin. Gholam Hosein Esmaili è stato nominato direttore generale del dipartimento giudiziario della provincia di Tehran.

L’avvicendamento è stato disposto dopo l’attacco contro alcuni prigionieri politici detenuti nel carcere. L’episodio risale alla scorsa settimana ed ha coinvolto la cella 350. Secondo il sito riformista Kalame, 100 affiliati alle forze di sicurezza hanno attaccato la cella del carcere di Evin. Oltre alle violenze, 30 detenuti sono stati feriti, altrettanti sono stati trasferiti in celle di isolamento e quattro sono stati portati in ospedale per le gravi ferite riportate.

Secondo l’agenzia Mehr, sarebbero stati ritrovati 11 telefoni satellitari e un computer portatile all’interno della cella (foto Reuters). Dopo le violenze, Esmaili aveva rilasciato un’intervista in cui negava i fatti. «Secondo le regole, operiamo un’ispezione mensile. Non rispondiamo alle accuse di siti anti-regime», aveva dichiarato l’ex direttore del carcere. I familiari dei detenuti hanno confermato l’attacco dopo aver visitato i loro parenti, trovandoli feriti, rasati e con lividi.

Le famiglie si erano assembrate intorno al parlamento e all’esterno dell’ufficio del presidente Hassan Rohani per chiedere un intervento del governo. Anche un gruppo di deputati ha chiesto un esame attento del caso: i parlamentari ritengono insufficienti le spiegazioni fornite nel corso di un’audizione da parte di Esmaili. Dal 2009, almeno sette prigionieri politici sono morti per tortura nel carcere di Evin. Come se non bastasse, il portavoce del sistema giudiziario Gholam Mohseni-Eje’i ha annunciato l’avvio del processo in contumacia contro alcuni dissidenti dell’Onda verde, le proteste contro la rielezione dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad nel 2009.