In base alla storia sismica passata, si può ragionevolmente supporre che nelle prossime decine di anni l’Italia sarà colpita da uno o due terremoti forti. E’ evidente che se fosse possibile conoscere in anticipo le zone più esposte a queste calamità la scelta delle politiche di prevenzione sarebbe molto agevolata. Per esempio, si potrebbero concentrare in zone limitate le poche risorse economiche disponibili nel breve termine, ottenendo un significativo miglioramento della sicurezza degli edifici (partendo da quelli strategici) nelle zone considerate prioritarie.

I risultati di studi condotti dal gruppo di ricerca dell’Università di Siena (Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente) sembrano offrire una possibilità concreta di ottenere informazioni attendibili sul problema sopra citato. Il concetto deterministico che sta alla base del metodo proposto è molto semplice. In una zona sollecitata da forze tettoniche le rocce si deformano progressivamente (come succederebbe in un mattone inserito in una morsa in costante e lenta chiusura). Nelle zone in cui lo sforzo raggiunto supera la resistenza meccanica delle rocce, per esempio in corrispondenza di debolezze strutturali, si verificano fratture, con liberazione di energia sismica. Dopo ogni terremoto forte, il sistema si riposiziona, concentrando gli sforzi nelle zone ancora bloccate, che saranno quindi le principali candidate alle scosse successive.

Lo sviluppo di questo quadro concettualmente semplice, può essere più o meno complesso in funzione delle caratteristiche strutturali e tettoniche della zona in esame. Quindi, un requisito fondamentale per cercare di capire dove possono essere le zone più esposte alle prossime scosse è una conoscenza molto approfondita del contesto tettonico nell’area in esame, che il nostro gruppo di ricerca ha acquisito dopo una lunga serie di indagini, sviluppate in decine di anni. Sfruttando questo strumento di base, è possibile cercare di riconoscere quali perturbazioni può subire il sistema dopo ogni terremoto forte e individuare quindi le zone sismiche che potranno più probabilmente subire i cedimenti successivi.

E’ importante precisare che la metodologia proposta non ha solo una base teorica, la sua validità è soprattutto sostenuta da una consistente pacchetto di evidenze empiriche, legate al fatto che il quadro interpretativo proposto può fornire spiegazioni plausibili e coerenti per la distribuzione dei terremoti forti avvenuti in Italia nella parte più attendibile della storia sismica (dal 1400). Per esempio, sono state riconosciute correlazioni molto regolari tra i terremoti principali nelle zone periadriatiche, che per la loro sistematicità si prestano molto efficacemente a prevedere il comportamento sismico futuro di alcune zone italiane.

Utilizzando la metodologia sopra descritta, è stato svolto uno studio nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Protezione Civile, mirato a riconoscere le zone sismiche italiane più esposte alle prossime scosse disastrose. Il risultato ottenuto indica che allo stato attuale la probabilità più elevata di scosse di questo tipo (magnitudo maggiore di 5.5) esiste nell’Appennino settentrionale, anche se è consigliata attenzione per la zona di transizione tra Sicilia e Calabria. Una descrizione sintetica delle evidenze e argomentazioni che suggeriscono la previsione sopra citata è riportata in una nota consultabile sul sito MeteoWeb (www.meteoweb.eu/2014/02/terremoti-al-sud-e-sui-balcani-lesperto-ma-adesso-una-forte-scossa) e su altre note riportate dallo stesso sito.

E’ opportuno chiarire che la previsione fornita dal metodo proposto non comporta indicazioni sui tempi attesi per le scosse nelle zone individuate e non si presta quindi a nessun tipo di allarmismo. L’unico obiettivo di questa previsione è la definizione di criteri di priorità utili per la gestione ottimale delle iniziative di prevenzione in Italia.

08storie terremoto Ricostruzione quadro tettonico - cinematico Area mediterranea centrale
Le importanti evidenze finora emerse sulla stretta connessione tra processi tettonici e distribuzione dei terremoti forti nella zona in esame indicano che le metodologie di tipo probabilistico, essendo basate su presupposti incompatibili con la natura dei terremoti, hanno scarse possibilità di fornire previsioni attendibili sul futuro comportamento della sismicità. Nonostante le inevitabili incertezze, legate alla complessità del problema trattato, il metodo deterministico qui presentato ha una base concettuale molto più realistica rispetto alle metodologie sopra citate e può essere validato in modo molto più semplice.

*Docente di Fisica Terrestre dell’Univeristà di Siena