Un video di 8 minuti per chiedere giustizia. Lo hanno inviato ieri a papa Francesco 17 donne e uomini che hanno subito abusi e violenze da parte di preti e religiosi. L’iniziativa è stata promossa dalla rete L’Abuso, l’associazione che da anni aggrega e difende le vittime dei preti pedofili in Italia.
«Vogliamo solo giustizia», «chiediamo che Bergoglio ci dia delle risposte e faccia giustizia», ripetono nei loro brevissimi video messaggi le 17 vittime.

C’è Giada Vitale, 18 anni, abusata da un prete da quando aveva 13 anni fino ai 16, che chiede a papa Francesco perché non ha risposto alla sua lettera che gli ha consegnato personalmente. Erik Zattoni, 32enne, nato da un abuso subito dalla madre da don Pietro Tosi, come riconosciuto dal test del dna, che domanda come mai quel prete – ora morto – non sia nemmeno stato dimesso dallo stato clericale. E poi ci sono otto ex ospiti dell’Istituto per sordomuti «Provolo» di Verona che, insieme ad altre decine di ragazze e ragazzi accolti al «Provolo», hanno subito abusi e violenze da parte di 26 preti e fratelli laici fra gli anni ’50 gli anni ‘80, come stabilito anche da una commissione di inchiesta voluta nel 2009 dal Vaticano e presieduta da Mario Sannite, ex presidente del tribunale di Verona. «Inizialmente la Curia dichiarò che non avrebbe dato importanza alla prescrizione, ma poi, forse visti anche i risultati dell’inchiesta, ritrattò», rileva la rete L’Abuso. Di quei 26 preti e religiosi, 12 sono deceduti. I restanti 14 sono impuniti, molti – prescritti – sono ancora preti e vivono tuttora al Provolo, altri invece sono stati trasferiti nella succursale argentina dell’istituto, con sede a La Plata.

«La nostra vuole essere una denuncia pacata ma netta, perché nessuno di noi ha ricevuto risposte. Sembra che papa Francesco stia facendo molto per le vittime della pedofilia, ma dal nostro punto di vista non è cambiato nulla», spiega Francesco Zanardi, portavoce della rete L’Abuso. La denuncia alle autorità civili e alla magistratura resta, per Zanardi, l’unico strumento veramente efficace di giustizia e di risarcimento per le vittime. Ed è un passo che le autorità religiose non intendono fare. «L’istituzione ecclesiastica nel migliore dei casi avvia un processo canonico nei confronti del prete pedofilo – aggiunge – e la pena più severa è la dimissione dalla stato clericale. In questo modo, secondo noi, la Chiesa risolve il «suo» problema, perché allontana da sé chi ha sbagliato. Ma se non c’è l’intervento della magistratura, non si può dire che giustizia sia stata fatta. Perlomeno dal punto di vista delle vittime. E a questo proposito, il fatto che le Linee guida antipedofilia della Cei, rese note poche settimane fa, non prevedano per i vescovi un obbligo stringente di denuncia alla magistratura ma solo un generico «dovere morale di contribuire al bene comune» ci sembra un fatto gravissimo».

La Congregazione per la dottrina della fede – ha comunicato qualche giorno fa monsignor Silvano Tomasi al Comitato Onu sulla Convenzione contro la tortura – fra il 2004 e il 2013 ha ritenuto attendibili 3.420 casi di abuso su minori commessi tra gli anni ’50 e gli anni ’80. I preti dimessi dallo stato clericale sono 848, mentre 2.572 sono stati puniti dalla Santa Sede con «altre misure canoniche e disciplinari». «Ma questi numeri non valgono per l’Italia, dove le vittime non hanno ricevuto nessun sostegno», dice Zanardi, che annuncia: «Nelle prossime settimane presenteremo un dossier all’Onu con i casi di 150 preti italiani condannati in via definitiva per abuso e violenze sessuali su minori. Ma se consideriamo anche i prescritti e quelli in attesa di giudizio il numero aumenta notevolmente».