La domanda non è cosa abbia in mente Salvini ma se abbia in mente qualcosa e non si limiti invece a una sorta di «politica» alla giornata. Ieri campeggiava una sua intervista al tritolo. Sepolta (a suo parere) la possibilità di fare la riforma della giustizia e quella del fisco con questa maggioranza: «Ma siamo seri!». Aperta in anticipo la partita del Colle, anche se le sue parole suonano come ansia di porre fine a un’esperienza nella quale si sta logorando: «Draghi avrà dalla Lega un consenso totale. Non lo stesso appoggio troverà nel Pd, che ha almeno 10 pretendenti». Più il solito duello sulle chiusure: «Sentirò il premier per dirgli che da lunedì la Lega vuole la caduta di restrizioni e orari». Messe così le cose sembra che Salvini scalpiti per uscire dalla maggioranza. La replica di Letta è immediata e pesante: «Se questa è l’intenzione della Lega credo che le nostre strade debbano rapidamente divergere. Questo governo è qui per fare le riforme. Se Salvini dice no tragga le conseguenze ed esca». Parole quasi identiche ripete tutta l’ala sinistra della maggioranza, dalla capogruppo di LeU De Petris a Laura Boldrini.

LA SITUAZIONE SEMBRA esplosiva, ma dal quartier generale leghista minimizzano. L’affondo sulle riforme? Solo un’istantanea della situazione oggettiva. L’accenno alla successione al Quirinale? Una mossa per mettere in difficoltà il Pd. Il millesimo duello sulle riaperture? Solo un modo per far capire che la gradualità per Draghi imprescindibile va bene ma si deve partire con un segnale forte, spostando il coprifuoco fino alle 24 e non alle 23. Ma di uscire dal governo non se ne parla nemmeno, i contatti con Draghi, diretti o indiretti, sono continui, il sole brilla.

È VERO CHE LA MARCIA delle riforme nel quadro del Pnrr non è una corsa in discesa. In un paio di mesi Draghi deve sfornare una decina di decreti come nessuna coalizione di governo è riuscita a fare nell’arco di decenni. È anche vero che Salvini ha tutto l’interesse a evitare che nel pacchetto ci sia una riforma fiscale che andrà in direzione opposta alla sua. Ma Draghi intende andare avanti su tutti i fronti, anche su quelli che implicano confronti aspri con pezzi della sua maggioranza, come il fisco o, sul versante 5S, la semplificazione, cioè una notevole deregulation. Ma non saranno né Salvini né Conte, ammesso che sia davvero lui il leader dei 5S, a far saltare per questo la maggioranza.

LA CORSA AL COLLE sarà un tritacarne, anche perché Mattarella ha declinato con fermezza anche superiore alle attese gli inviti a una rielezione che toglierebbe le castagne dal fuoco ai partiti. Può sempre cambiare idea, ma se non lo farà e se le difficoltà nella gestione del Pnrr costringeranno Draghi a restare a palazzo Chigi le possibilità che la maggioranza si dilani ci sono davvero. Però è storia di domani. E la guerra santa per un’ora di coprifuoco è il solito fumo negli occhi, una partita tanto rumorosa quanto insignificante. La sensazione dunque è che Salvini, incalzato da una Giorgia Meloni rampante da un lato e da un Letta deciso a fare il possibile per spingerlo fuori dalla maggioranza dall’altro, non abbia in mente alcuna strategia e neppure un piano di battaglia a breve e si muova esclusivamente rispondendo agli impulsi del giorno, a volte dell’ora.

IN QUESTO CAOS, in cui le due forze maggiori del centrodestra si muovono avendo per stella polare solo il proprio interesse specifico e immediato, la destra rischia di regalare agli avversari la partita delle amministrative, e nel caso si tratterebbe di un’ipoteca fortissima sulle politiche. Ieri Albertini ha confermato il suo rifiuto di correre per la poltrona di sindaco a Milano. «Ragioni personali» ha assicurato con abbondanza di citazioni colte. Il pollice verso di Meloni è una delle ragioni non personali messe da parte in pubblico. Al suo posto in pole position c’è ora l’ex ministro Maurizio Lupi. A Lega piacendo e non è ancora detto che piaccia. Roma resta al dubbio: Bertolaso potrebbe rispuntare fuori come estremo appiglio, se avesse tutta la coalizione convinta dietro e non pare proprio il caso. Così tra i vertici forzisti iniziano a materializzarsi uno spettro e un sospetto. Lo spettro di una partita vinta dagli altri per cappotto nelle città maggiori. Il sospetto che a sorella Giorgia, in fondo, delle amministrative importi ben poco e che l’obiettivo sia solo superare a gonfie vele gli alleati.