Due assenti, decisivi ma anche no a fare bene i calcoli, e il disegno di legge costituzionale firmato da Giorgia Meloni per passare all’elezione diretta del presidente della Repubblica finisce subito in un vicolo cieco. Dov’era destinato comunque, visto che allo scadere della legislatura immaginare una tale modifica del sistema di stato e di governo del nostro paese non era più che una provocazione. Per fare presto a venire incontro alle pulsioni post rielezione di Mattarella, Fratelli d’Italia aveva anche rinunciato ad altri suoi disegni di legge più articolati, mandando avanti quello della leader che nemmeno si preoccupa di ridefinire gli equilibri tra poteri ma si accontenta di far votare il presidente dagli elettori. Il resto si vedrà. O si sarebbe dovuto vedere, nel caso non fosse stato approvato ieri pomeriggio in prima commissione alla camera un emendamento soppressivo della riforma. Il voto è finito 21 a 19, tanto da far sembrare decisive le due assenze di un deputato leghista (Invernizzi) e una deputata di Forza Italia (Calabria) in teoria favorevoli al presidenzialismo (in caso di pareggio l’emendamento soppressivo sarebbe stato respinto). Sembrare, perché era assente anche un ex dei 5 Stelle oggi con Alternativa (Forciniti) il cui comportamento non è sempre prevedibile ma che aveva comunque presentato anche lui emendamenti soppressivi. Iv si è astenuta, restando – ha detto – favorevole al presidenzialismo, ma non a questa proposta di legge. E Meloni non ha perso l’occasione per soffiare sul fuoco della polemica con gli “alleati”: «Non so se questa proposta non sia passata per superficialità di alcuni o per una scelta politica, non so quale sia il problema ma so che c’è un problema». Ma per Lega e Fi è stato solo un incidente.