Quasi 18 milioni di abitanti voteranno questo giovedì per le prossime elezioni presidenziali in Uganda che vedranno il presidente in carica Yoweri Museveni,  soprannominato “M7”, confrontarsi contro i dieci candidati dell’opposizione in lizza.

A 76 anni Museveni è l’unico presidente che la maggior parte degli ugandesi conosce, in un paese dove un abitante su due ha meno di 16 anni, dopo essere salito al potere nel 1986 e aver rovesciato con l’Esercito di Resistenza Nazionale (Nra) il regime dispotico di Milton Obote, in seguito a cinque anni di lotta.

Primo presidente eletto democraticamente nel 1996, Museveni, supportato dal suo partito di maggioranza – il Movimento Nazionale di Resistenza (Nrm) – ha ottenuto la modifica della Costituzione nel 2019 per rimuovere «il limite di età per candidarsi alla presidenza», cosa che gli ha consentito di presentarsi per un sesto mandato.

Il suo principale avversario sarà il politico e celebre cantante Robert Kyagulanyi, alias Bobi Wine, che attraverso le sue canzoni rap e reggae «è diventato il portavoce dei giovani dei ghetti che non si riconoscono nel regime del vecchio presidente» e che nel suo programma elettorale ha intenzione di «modernizzare il paese e abbattere quello che considera un dittatore».

Il «principe del ghetto con il basco rosso», così viene soprannominato Wine,  si pone in totale contrasto a Museveni che, al contrario, si presenta come «l’ex guerrigliero e uomo della savana, convertitosi a un’economia di mercato, orgoglioso di aver portato pace e crescita – grazie anche ai fondi Onu per i numerosi profughi presenti in Uganda – in un paese dilaniato da anni di dittatura».

Una campagna elettorale che si è svolta in un clima di violenze e proteste  da quando, lo scorso novembre, Bobi Wine ha deciso di candidarsi per le presidenziali denunciando da subito «minacce alla sua sicurezza, a quella dei suoi sostenitori e dei giornalisti che seguono la sua campagna elettorale», a tal punto da costringerlo a mandare negli Stati uniti la famiglia e da fargli indossare un giubbotto antiproiettile nelle sue uscite pubbliche.

A novembre è stato arrestato due volte con l’accusa di «atti suscettibili di diffondere una malattia infettiva e violazioni delle regole sul Covid-19», in un clima di repressione che ha scatenato disordini nel paese, 50 vittime e centinaia di manifestanti feriti, fino all’arresto di oltre duecento suoi sostenitori il 31 dicembre e di tutto il suo staff nella giornata di ieri.

A dicembre, il governo ha vietato i comizi elettorali perché ha affermato che avrebbero potuto essere «causa di diffusione del Covid-19», ma tutti i candidati dell’opposizione hanno protestato perché «le restrizioni non comprendevano i comizi del presidente» e hanno denunciato queste misure come «discriminatorie per lo svolgimento di libere ed eque elezioni».

 

Il presidente Yoweri Museveni (Ap)

 

Numerose le proteste da parte della Rete dei giornalisti per i diritti umani in Uganda  (Hrnj) che ha contestato oltre 100 attacchi contro i giornalisti che hanno cercato di informare la popolazione durante la campagna elettorale, con «un livello di violenza mai visto in un’elezione in Uganda».

«Non abbiamo mai avuto una repressione come in quest’ultimo periodo – ha detto Robert Sempala, coordinatore nazionale di Hrnj – con attacchi deliberati, che restano impuniti, in cui alcuni agenti di polizia hanno arrestato, picchiato e sparato a numerosi  giornalisti».

Accuse anche da parte di Human Rights Watch che denuncia «l’atteggiamento del governo del presidente Museveni», che ha limitato la propaganda e la campagna elettorale delle opposizioni, «impedendo un voto libero ed indipendente».

Per tutta risposta il governo di Kampala ieri, a 48 ore dal voto, ha ordinato l’oscuramento di tutti i social network.

«Lo stato delle libertà civili e fondamentali non esiste nel nostro paese, visto che  Museveni ha utilizzato i media nazionali per la sua campagna e gli apparati militari  per reprimere la volontà popolare che vuole il cambiamento – ha affermato Bobi Wine in una recente intervista su African Arguments – votare in queste difficili elezioni rappresenta protestare e dimostrare quello che i giovani vogliono: un paese giovane, libero e democratico».