Avrà un impatto su tutta la regione latinoamericana l’esito del processo elettorale che tra oggi e l’11 aprile (in caso di ballottaggio) darà all’Ecuador un nuovo presidente, 137 membri dell’Assemblea nazionale e cinque membri del parlamento andino. Un’eventuale vittoria del candidato dell’Unión por la Esperanza (Unes) Andrés Arauz, in testa praticamente in tutti i sondaggi, consoliderebbe infatti l’asse progressista a cui i processi elettorali in Messico, Argentina e Bolivia hanno dato nuovo impulso, rilanciando quel processo di integrazione latinoamericano su cui non a caso insiste con forza l’economista appena 36enne sostenuto da Rafael Correa.

Ed è proprio per sventare tale pericolo che la campagna di fake news orchestrata contro il binomio formato da Arauz e dal giornalista Carlos Rabascall ha potuto contare sul deciso contributo, al di là delle frontiere del paese, di organi di stampa come il Clarín di Buenos Aires o la rivista colombiana Semana: il primo attraverso la falsa notizia di elargizioni di denaro in cambio di voti; la seconda tramite la rivelazione fake di un finanziamento di 80mila dollari da parte della guerriglia dell’Eln alla campagna della Unes.

Ma il tentativo di estromettere il correismo dalle elezioni è stato soprattutto uno dei pilastri dell’azione del presidente Lenin Moreno, insieme al tradimento del mandato per il quale era stato eletto. Nella misura in cui ha proceduto ad applicare il programma neoliberista e filo-Usa dell’avversario sconfitto nel 2017, il banchiere Guillermo Lasso oggi nuovamente candidato, Moreno è riuscito a impedire a Rafael Correa di candidarsi tanto alla presidenza (grazie al limite dei due mandati) quanto alla vicepresidenza (grazie alla condanna a 8 anni di carcere per corruzione) e persino di fondare un nuovo partito, costringendo i correisti a trovare riparo in un’altra formazione, il Movimiento Centro Democrático (unica forza della Unes ammessa dal Consiglio elettorale).

E per poco non ha ottenuto la bocciatura della candidatura dello stesso Arauz, già ministro di Correa, il quale, ringraziando la popolazione per l’appoggio ricevuto di fronte a tanti ostacoli, ha detto di confidare in una vittoria già al primo turno (per la quale dovrebbe almeno superare il 40% dei voti con più di 10 punti sul secondo).

In base alle medie degli ultimi sondaggi, tuttavia, appare assai più probabile un ballottaggio tra lui, dato al 34,5%, e Lasso (26,3%), con il candidato indigeno e ambientalista Yaku Pérez – accreditato di un sorprendente 16,2% (mai un candidato di Pachakutik ha superato la doppia cifra) – a fare da incertissimo ago della bilancia e con un’alta percentuale di voti bianchi o nulli (17%). Ma l’enorme quantità di elettori ancora indecisi (14%) potrebbe all’ultimo minuto scombinare tutte le carte.