Che il Tribunale Supremo Elettorale, ribattezzato dal popolo honduregno “la puercada”, proclamasse infine l’attuale presidente Juan Orlando Hernández come vincitore delle presidenziali del 26 novembre scorso, dopo tre settimane di proteste in cui hanno perso la vita almeno 17 persone, era più che scontato, considerando l’impegno profuso prima, durante e dopo il processo elettorale per rubare la vittoria a Salvador Nasralla, il candidato dell’Alleanza di opposizione contro la dittatura. Ma è assai improbabile che il discorso si chiuda qui. Non a caso, non c’è un solo presidente al mondo che abbia inviato a Hernández un messaggio di felicitazioni per la “vittoria”: le felicitazioni il presidente ha dovuto farsele da sé, quando è apparso in tv per annunciare il suo trionfo  ed evidenziare, incredibile ma vero, il carattere «impeccabile» del processo elettorale.

«Il presidente della Repubblica in questo momento è un impostore e il popolo honduregno lo sa», ha dichiarato Nasralla prima di incontrarsi a Washington con il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani Luis Almagro. Il quale, dopo aver attaccato il governo Maduro in tutti i modi possibili in nome della democrazia, non avrà evidentemente ritenuto possibile continuare a far finta di niente di fronte alla gigantesca frode messa in atto dal governo honduregno, tanto più essendosi già voltato da un’altra parte quando Hernández otteneva l’autorizzazione alla sua illegale ricandidatura dai giudici della Corte Suprema da lui stesso nominati (per poi tornare vigile e attento nel condannare il via libera del Tribunale Costituzionale alla ricandidatura di Evo Morales in Bolivia).

E così, rompendo un lungo silenzio, Almagro ha denunciato le «deliberate intrusioni umane nel sistema informatico» ed enumerato le tante e clamorose irregolarità riscontrate durante tutto il processo, concludendo che, «dinanzi all’impossibilità di determinare un vincitore, l’unico cammino possibile» perché venga rispettata la volontà del popolo «è una nuova convocazione a elezioni generali», con l’accompagnamento degli ex presidenti Jorge Quiroga e Alvaro Colom, incaricati dall’Oea di condurre «le attività necessarie per un nuovo processo elettorale e per la riconciliazione democratica».

Una proposta analoga ma più articolata viene anche dalla Conferenza dei provinciali gesuiti dell’America latina che, denunciando con forza l’incostituzionalità della ricandidatura di Hernández, l’«evidente frode elettorale orchestrata dal governo» e la «selvaggia repressione» delle innumerevoli e legittime proteste popolari, chiede all’Oea, alle Nazioni unite e all’Unione europea di esigere «dall’attuale governo dell’Honduras, e dall’ambasciata nordamericana che lo appoggia, l’annullamento delle elezioni generali del 26 novembre» e di promuovere la nomina di un governo di transizione che si impegni a realizzare un plebiscito sull’eliminazione degli articoli della Costituzione che proibiscono la rielezione presidenziale (in maniera da consentire o meno la ricandidatura di Hernández per un secondo mandato) e a convocare e a organizzare sotto la supervisione internazionale un nuovo processo elettorale «in un tempo ragionevole e possibile».