Sembra puro caos, una situazione impazzita in cui ogni accordo per le presidenze delle Camere è saltato, le riunioni si susseguono a getto continuo senza produrre altro che conferme dello stallo, i voti delle due aule si profilano come azzardi al buio. In realtà è probabile che dietro l’apparente confusione ci sia un piano preciso, nel quale giocano di sponda la cerchia ristretta dello stato maggiore berlusconiano e il gruppo di potere renziano. Obiettivo: mettere fuori gioco ogni dialogo con M5S, chiudere nell’angolo la Lega e spalancare i cancelli a qualche formula di maggioranza che coinvolga destra e Pd.

L’ULTIMA CHANCE DI INTESA, affidata alla riunione dei capigruppo convocata nelle stanze del gruppo M5S ieri alle 20, sembra un’arma spuntata in partenza. E infatti si chiude con un nulla di fatto. I capigruppo di Fi fanno sapere subito che si presenteranno solo «per galateo». Non intendono rimettere in discussione la candidatura Romani per il Senato ma solo insistere perché Di Maio s’incontri direttamente con Berlusconi perché «noi non abbiamo il mandato per fare nomi», sostengono nel corso del breve vertice. Ma la richiesta viene respinta senza esitazione provocando grande irritazione nei capigruppo azzurri. E così la riunione si chiude.

Dal canto suo il Pd insiste per ridiscutere tutto: in caso contrario progetta un’astensione che, di fatto, è un sostegno mascherato a Romani. M5S chiede di riaprire il confronto a tutto campo. E’ stato Di Maio a proporre il «nuovo incontro tra i capigruppo per ristabilire un dialogo proficuo». Ma l’insistenza azzurra su Romani, inaccettabile per M5S, impedisce ogni dialogo, proficuo o meno.

NON È IL SOLO OSTACOLO. Arcore appunto insiste per l’incontro tra Berlusconi e Di Maio, una specie di riconoscimento politico con tanto di foto sparate ovunque, che il leader dell’M5S non può accettare perché non lo accetterebbe la base del Movimento. Anche perché tra gli stessi 5S, poco abituati alle modalità consuete della politica, la tensione è alta, tanto che la riunione dei parlamentari fissata per ieri pomeriggio è stata bruscamente rinviata a data incerta.La Lega, come anche FdI ma in misura molto minore, per la prima volta dal 4 marzo annaspa. Salvini è stato costretto a cancellare in extremis la registrazione di Porta a Porta. «Tutto azzerato», ammette nel pomeriggio: «Sento più Di Maio che la mia mamma. Siamo pronti a fare tavoli e tavolini. Siamo disponibili a ridiscutere sia col Pd che con M5S». Parole dalle quali traspare una certa disperazione, del tutto giustificata. Il capo della Lega sente che la trappola sta per chiudersi. Sino a che Fi insiste su Romani e sull’amichevole chiacchierata tra Berlusconi e Di Maio discutere non serve a niente. Se poi la Lega dovesse tirarsi indietro e negare, magari approfittando del voto segreto, il sostegno a Romani sarebbe la fine della coalizione di centrodestra.

MA IN BALLO C’È MOLTO più che non le presidenze. I fatti parlano da soli. Ieri mattina i tre leader del centrodestra si sono incontrati di nuovo a palazzo Grazioli. Un’oretta e poi la conferma della linea dura, quella che inevitabilmente porta alla rottura con Di Maio: la conferma della candidatura Romani. L’alternativa era a portata di mano. Sul nome di Annamaria Bernini si erano già detti d’accordo tutti, lo stesso Berlusconi era favorevole. A spingerlo in direzione contraria sono stati i consiglieri più ascoltati, Letta e Ghedini.

Il Pd, guidato di fatto dalla componente renziana, quella che in questi giorni ha mantenuto i contatti con Letta, finge di non partecipare al gioco. «Non possiamo votare Romani, anche se è una persona per bene», dichiara Rosato. Significa astensione, dunque appoggio di fatto, tanto più che le trattative su due vicepresidenze per il Pd vanno benone. Stamattina, salvo possibili ribaltamenti notturni, Fi opterà per la scheda bianca nelle prime due votazioni, per impedire agguati o nuove candidature a sorpresa. Il Pd farà probabilmente altrettanto. Alla terza votazione Forza Italia punterà su Romani, che a quel punto andrà di certo al ballottaggio dove, a meno che la Lega non scelga di spezzare la destra, l’elezione dovrebbe essere garantita.

M5S, NON VOTANDO Romani, offrirà l’alibi per ricambiare lo sgarbo bocciando il candidato a cinque stelle, Fico o Fraccaro che sia, a Montecitorio. La destra, in questo disegno, darebbe alla Lega il contentino della presidenza a Giorgetti per poi battere il sentiero che Berlusconi, ma soprattutto Letta, avevano in mente sin dall’inizio: un accordo di governo con il Pd.

E’ UNA MANOVRA AZZARDATA. Non mira solo a escludere i 5S ma anche a stringere all’angolo la Lega imponendo il dialogo con il Pd: una strategia sostenuta ieri mattina nel vertice dallo stesso Berlusconi. Non è escluso però che la Lega, dopo aver confermato la propria fedeltà votando Romani, ribalti i giochi alla Camera ritirando Giorgetti e convergendo sul candidato di Di Maio. Con una doppia maggioranza nelle due camere, il caos sarebbe davvero totale. Ma anche se il progetto di Letta andasse in porto, mettere fuori gioco M5S e umiliare la Lega potrebbe rivelarsi una vittoria ancora più disastrosa di quella di Pirro.