Anche su Tovaglia a quadri, da un quarto di secolo tradizione forte dell’estate teatrale in Toscana, si è abbattuto il peso del Covid 19. Che con i suoi pericoli e le sue prevenzioni non poteva certo permettere quella bella cena tipica di tradizione, con tutti gli spettatori seduti a tavola gomito a gomito, resa gustosa e «saporita» dalle arguzie e dalla teatralità di uno spettacolo in piena regola. Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini che quel «marchio» e quella tradizione hanno inventato ed elaborato lungo 25 anni, non hanno voluto arrendersi, e hanno trasformato la rappresentazione in cinema, come non pochi per altro hanno tentato in questi mesi, durante e dopo il lockdown. Con risultati però qui nettamente diversi, e forse «superiori», se ha un senso fare classifiche.

QUELLO NATO ora è un vero film, di cui Andrea Merendelli firma la regia, con una struttura, personaggi e intrecci che pur essendo la naturale evoluzione di quanto raccontato negli anni tra i tavoli apparecchiati al Poggiolino (la terrazza del paese che si affaccia sulla piana della storica battaglia), ha una forza drammaturgica decisa e avvincente. Senza fronzoli narrativi, ma piuttosto con un procedere che il cinema consente più del teatro, nervoso ed ellittico grazie all’intreccio delle immagini con le parole e i volti. E la prima invenzione clamorosa è quella del titolo: una parola di uso e paure ormai comuni, pandemia, che nel dialetto della Toscana contadina si scinde a esprimere una elemento fondamentale della vita quotidiana: Pan de’ mia, ovvero il pane di casa, base del nutrimento nelle campagne. Con quel titolo subito rivelatore, il film è stato proiettato al Teatro di Anghiari che ne è produttore, ma che sarà anche possibile vedere in streaming (info e costi www.tovagliaquadri.com).

LA VICENDA è semplice e assai contemporanea: in tempi di ristrettezze e sacrifici, il proprietario del forno locale indice una sorta di gara in paese tra chi sarà in grado di preparare la forma di pane più bella e più buona da cuocere nel suo forno, dove oltre allo stralunato esercente operano due addetti infarinati tra gag molto divertenti. Parallela a questa, si intreccia la vicenda dell’operaio addetto alla manutenzione dei tetti, che analisi affrettate fanno pensare essere affetto dal Covid. Tanto da farlo restare nascosto lassù tra comignoli e balaustre, rincorso e invocato dalla ragazza che lo ama e vorrebbe fuggire con lui, contro pettegolezzi e attentati che cercano letteralmente di impallinarlo. Alla porta del forno si accalcano i molti concorrenti al miglior pane, una piccola folla composita assolutamente delirante nella sua «quotidianità». Le donne pochissimo pie, un’altra che si promette al fornaio in caso di vittoria, la prostituta ambiziosa che porta il nome di quella Anghiarina che storicamente spopolò (e si arricchì) col suo mestiere alla corte papale di Roma. Tutti uniti, nel concorso e nel pregiudizio, nella paura della malattia e nel pettegolezzo, con una sorta di carismatica guida spirituale nella Santa, che evoca onori e riti di epoca granducale, interpretata da un attore eccellente in abiti muliebri rinascimentali (Andrea Valbonetti). E poi non mancano la «bestialità» dalle molte facce e dalla insaziabile fame della creatura in gabbia nel forno, o commoventi cammei, come quello del contadino ammalato (che fu una star di molte rappresentazioni).

UN MONDO intero si dispiega, nella durata canonica del film, tra il presente e l’immediato ieri, e quello ancora più lontano (i resti magnifici dei numerosi teatri che ornavano la città nel ‘600). Su quelle balze fugge l’operaio dei tetti accusato di malattia, e si scannano sulla strada i contendenti del pane, sotto le arringhe dell’antico comunista che inutilmente tenta di fare storia e proseliti. Chi ha partecipato in passato a quelle meravigliose tavolate sul Poggiolino, ha certo maggior bagaglio di ricordi, battute, volti e situazioni che tornano alla mente.

MA ANCHE lo spettatore del Pan de’ mia film può divertirsi e insieme emozionarsi per la partitura che i personaggi e le vicende intavolano con gli scorci e le vedute mozzafiato del paese e delle sue pietre, e della sua piana che Leonardo disegnò, vera valle dell’anima e della commozione, sempre temperata però da battute mordaci e situazioni paradossali.
E ancor di più dalla musica, che Mario Guiducci lancia ed esegue (anche cantando assieme alla soprano Noemi Umani), ma senza nascondere l’inquietudine di un Orfeo cieco.