Salvato da un patto tra Lega e 5 Stelle, ma solo perché rinviato nell’applicazione al gennaio 2020, l’emendamento che interrompe per sempre la prescrizione dei reati penali dopo la sentenza di primo grado viene smontato dagli avvocati e dai professori di diritto, ascoltati ieri dalle commissioni della camera dei deputati. Non lo bocciano invece i magistrati; il presidente dell’Anm Minisci ha confermato che si tratta di una vecchia richiesta della magistratura associata. Ha aggiunto però che lo stop della prescrizione per funzionare deve andare di pari passo con modifiche in grado di velocizzare il processo penale. È quanto il governo ha annunciato di voler fare, rinviando a un prossimo disegno di legge delega. Che è tutto da inventare (nel «contratto di governo» non se ne parla e la maggioranza ha già mostrato le sue divisioni in materia) ma sarà efficace, secondo le promesse, già alla fine del 2019. L’Anm ha scelto di fidarsi: «La tempistica la scelga il legislatore, l’importante è che la riforma della prescrizione e del processo penale entrino in vigore insieme». Il ministro della giustizia del resto ha già convocato i magistrati (e avvocati) e ha annunciato che in una settimana farà le sue audizioni e in un mese avrà bello e pronto il testo della riforma.

Vedremo. Intanto nel pomeriggio di ieri, nelle commissioni, la musica è cambiata. Tutti i giuristi convocati (tranne, parzialmente, uno) hanno demolito l’emendamento 1.124 con il quale i due relatori M5S immaginano di stravolgere l’istituto della prescrizione, inserendolo nella legge anticorruzione. Legge firmata dal ministro Bonafede e battezzata dai 5 Stelle «spazza corrotti». Nemmeno il nome è sfuggito alle critiche. «Termini del genere rivelano una concezione del diritto come strumento ributtante», ha detto il professore di diritto penale a Napoli Maiello, «spazza corrotti evoca l’idea di un processo penale usato come strumento di sterminio giuridico», ha aggiunto il professore Manes, docente della stessa materia a Bologna.

Critiche pesanti sono arrivate sul metodo individuato dal governo: «La legge che nel 2017 ha cambiato i termini di prescrizione non ha ancora avuto modo di dispiegare i suoi effetti», ha ricordato il primo presidente della Cassazione, Mammone; «indicare per legge l’entrata in vigore al 2020 serve a fissare una bandierina», ha aggiunto il pg della Cassazione Fuzio, richiamando il fatto che come norma «sostanziale» (è nel codice penale, non in quello di procedura) la prescrizione si applicherà comunque solo ai reati commessi dopo l’entrata in vigore. Mentre il presidente del Consiglio nazionale forense, l’avvocato Mascherin, ha detto che «non è possibile che i cittadini debbano restare appesi a un distinguo, M5S afferma che le due riforme, prescrizione e procedimento penale, sono slegate l’una dall’altra, mentre la Lega dice che una dipende dall’altra».

Generale e condivisa la preoccupazione per gli effetti che lo stop alla prescrizione potrà avere sulla durata dei processi di appello. Di riforma come «agente patogeno» ha parlato l’ex primo presidente della Cassazione Canzio, un magistrato tra i più esperti sulla buona organizzazione degli uffici giudiziari. «Per quanto tempo un’individuo dovrà essere sottoposto alla spada di damocle di non conoscere il proprio destino penale?», si è chiesto retoricamente il professore di diritto penale a Teramo Pisani. «La riforma produrrà un aumento esponenziale dei tempi dei processi e la paradossale impunità proprio dei reati più gravi», ha aggiunto il professore di diritto pubblico Marini. E non sono mancate le denuncia di incostituzionalità, avanzate da Canzio, Marini, dal costituzionalista Celotto – «mina la ragionevole durata del processo» -, mentre il professore di procedura penale a Brescia Bernasconi, chiamato in audizione dalla Lega, di vizi di costituzionalità ne ha trovati addirittura sei.