Lasciata a se stessa – non ci sono vertici convocati, Conte non ha alcuna proposta di mediazione che abbia qualche chance e in realtà non ci sono neanche votazioni parlamentari decisive a stretto giro – la lite nella maggioranza sulla prescrizione sta crescendo giorno dopo giorno. È ormai una guerra quotidiana; ieri Bonafede ha dato del Salvini (o del Berlusconi) a Renzi, il ministro grillino per le riforme D’Incà ha sfidato Italia viva a lasciare la maggioranza e i renziani gli hanno risposto di cominciare a fare lui le valigie. Per sovrapprezzo, la prossima settimana comincerà con un giudizio della Corte costituzionale sulla legge Spazzacorrotti – altra materia ma stessa legge che rende «orgoglioso» Bonafede e che ha introdotto la riforma della prescrizione made in 5 Stelle – e finirà con una manifestazione di piazza (o piazzetta) dei grillini alla ricerca della purezza delle origini. In questo clima il ministro guardasigilli se l’è sentita di annunciare che «entro dieci giorni» porterà finalmente la riforma del codice di procedura penale in Consiglio dei ministri.

Non è nuovo ad annunci del genere: aveva già promesso questa riforma per la fine del 2019, poi per la fine di gennaio. Senza accordo sulla prescrizione andrà così anche questa volta. Tempo per litigare c’è ancora: la prossima settimana le commissioni riunite affari costituzionali e bilancio della camera voteranno gli emendamenti (di Italia viva ma non solo) sulla prescrizione al milleproroghe, che però dovrebbero essere bocciati senza particolari drammi (il Pd ha già detto che voterà contro). Il nuovo passaggio in aula a Montecitorio sul disegno di legge Costa che cancella la riforma Bonafede è potenzialmente divisivo (lo è stato in commissione) ma ancora lontano (24 febbraio).

Nella guerra di nervi, con Renzi che tiene caldo il tema alzando un po’ i toni ogni giorno, il Pd ieri ha cercato di far passare la soluzione di un rinvio breve, appena sei mesi per dare il tempo di condurre in porto la famosa riforma del codice di rito. E poi, solo dopo aver introdotto le novità in grado di velocizzare i processi, tornare alla prescrizione che piace a Bonafede, cioè la prescrizione che non esiste più dopo la sentenza di primo grado (di assoluzione o condanna che sia). «Noi lo avevamo proposto ma avevamo capito che Bonafede era contrario, se si fa il rinvio siamo i più contenti del mondo», ha detto il vicesegretario del Pd Orlando, ex ministro della giustizia (l’ultima riforma della prescrizione, mai sperimentata sul serio, porta la sua firma). Ieri si è incontrato con Conte, ufficialmente non per parlare di prescrizione. Di certo l’attivismo renziano (che fa filtrare l’ipotesi a questo stadio eccessiva di una mozione di sfiducia individuale a Bonafede, al senato dove la maggioranza potrebbe rischiare) ha tolto ai dem la possibilità di negoziare una mediazione onorevole anche se di basso profilo.

Il rinvio fino al 30 giugno di cui si parla, oltre che un bel po’ forzato – la legge infatti, sospesa per un anno, è ormai in vigore da 37 giorni e andrebbe sospesa di nuovo – sarebbe in realtà di meno di cinque mesi. Ma disgraziatamente non è quello che intende concedere Bonafede, incalzato da Conte da un lato (il presidente del Consiglio vuole un accordo e ha promesso un vertice risolutivo in settimana, questa settimana) e da Di Maio e dai guardiani della rivoluzione grillina dall’altro. Che certo non lo stanno aiutando esaltandone a getto continuo la capacità di «non mollare». Se alla fine dovrà farlo si noterà parecchio